Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici anonimizzati. La chiusura del banner mediante
selezione dell'apposito comando contraddistinto dalla X o tramite il pulsante "Continua la
navigazione" comporta la continuazione della navigazione in assenza di cookie o altri strumenti
di tracciamento diversi da quelli sopracitati.
COOKIE POLICY
I TIRAPERE
Di che razza sono i Gerbolini?
A dire il vero una volta si diceva che S. Giusto era il paese degli zingari. Cosi si diceva anche di altri paesi, sebbene gli zingari non abbiano paese che il mondo. Tale nomea derivo certo a S. Giusto per il fatto che le carovane dei girovaghi potevano liberamente stazionare nei vasti gerbidi comunali; oggi nelle poche zone libere vi sono segnali di divieto di sosta. Invece per essere oggettivi senza essere razzisti, non si puo affermare che i pionieri venuti a popolare il Gerbido in cerca di pascoli, di campi e di casa fossero degli zingari, altrimenti non si spiegherebbe il tenace attaccamento alla terra degli antenati e si ignorerebbe l'immigrazione storica nel nostro paese da parte di abitanti dell'antica Misobolo.
Vero e che lo storico Antonio Bertolotti, nell'intraprendere la sua passeggiata in S. Giusto nel secolo scorso, teme d'incorrere nei guai e si domanda: Come ando che i Canavesani hanno fama di essere rissosi e sanguinolenti?. E rispondeva, parlando dei Sangiustesi come di Canavesani purosangue: "I Canavesani discendono dai Salassi, popolo belligero ed intollerante di qualunque dominio. Tu sai che i Romani non li potevano domare". I Salassi cosiddetti per l'origine celtica (salii in Francia) o per il commercio del sale, sono tra i più antichi abitanti della storia canavesana, nel 143 avanti Cristo presso Verolengo sconfissero il console Appio Claudio Pulcro trucidando 5000 Romani. Tre anni dopo pero i Romani, ricevuti dei rinforzi, poterono sfondare presso Vische ed entrare nel Canavese. I Salassi superstiti si rifugiarono sui monti e molestavano i Romani con le loro scorrerie. Quindi verso il lOO a.c. fu fondata Ivrea come presidio militare dei Romani, poiche i Salassi si davano ad azioni di vero brigantaggio, rapinando anche la cassa militare di Ottaviano. Racconta Strabone che servendosi i Romani di manodopera locale per sistemare le strade, i Salassi invece di lavorare "gettavano sassi sui soldati, simulando di costruire strade o di gettare ponti suI fiume". Un antico cronista di Caluso conferma che "i Salassi maneggiavano con singolare destrezza la fionda". Tali affermazioni non dimostrano ab bastanza che i Gerbolini detti "tirapere" discendono dai Salassi e che tale istinto di difesa non e per nulla dispregiativo?
I Salassi erano temuti perche resistevano con coraggio a varie spedizioni romane ed erano ammirati per le loro splendide divise; estraevano infatti oro e metalli preziosi presso miniere alpine e moreniche, dove abbondano rovine di antiche fonderie e un'enorme quantita di scorie, come dicono i toponimi: Orbassi, Bose, Suffudio. Siccome usavano ripulire i metalli lungo i fiumi, ecco spiegata la storia dell' "Eva d'Or" che attiro nel Gerbido ricercatori di pagliuzze e granuli d'oro, presso quel tratto di Orco che costeggiando le cas cine Benedetta e Frera, definito "la riviera Sangiustese", si dirige sotto il ponte di S. Benigno. Comunque i Romani, per conquistare tali miniere, la fecero finita con i Salassi verso il 25 a.C. ad opera di Terenzio Varrone. I Salassi catturati vengono venduti come schiavi suI mercato d'lvrea (a ricordo viene fondata Aosta con l'arco di Augusto) e finiranno per fondersi con la tribù romana Pollia.
LA PRESENZA DEI ROMANI
Negli anni della nascita di Cristo, il nostro territorio e stato solcato dai Romani, anzi tracciato in modo razionale e funzionale, secondo le regole della centuriazione e dell'economia agraria fondiaria. Essi costruirono anzitutto una via lastricata da Ivrea a Torino. Lo provano le indicazioni della cosiddetta "Tabula Peutingeriana" - una specie di carta stradale che segnava le distanze, risalente al 230 d. C. - e rinvenimenti archeologici nonche la ricostruzione di stazioni situate nel suo percorso. Tale "strata" (ossia selciata) proveniente da Ivrea passava per Perosa (cosiddetta dalla strada "perearia") e Misobolo, antica "villa" romana, e giungeva nel nostro territorio in modo rettilineo fino alIa regione Terzadio. I Romani seguivano gli svolgimenti stradali a meta costa nelle zone collinari.
Presso Ruspaglie era posta poi una "mansio", termine che nel linguaggio militare corrispondeva ad una stazione per riposo e rifornimento di vettovaglie al termine di una giornata di marcia. Lo stesso nome dell'attigua val Morella suggerisce tale indicazione: "mora" ossia "dimora". Accanto vi era un fondo appartenente al colono di nome Terzo e divenuto un vico, il paese "Terciacus" o "Terciagus" in regione Terzadio. La "mansio" era detta "Rispalea" (da ripa = costa) o Ruspalea (da ruspari = scavare). Al termine della Costa, la strada doveva proseguire verso ponente; quella che porta all'Orco viene ancor oggi detta di Torino. Al di la della provinciale, infatti, prima delle cascine Benedetta e Frera, furono rinvenute negli scavi del 1892 delle urne funerarie con ampolline di vetro, vasi di terracotta, monete di bronzo e d'argento: si sa che i Romani solevano seppellire i morti lungo le strade.
AlIa strada per Torino confluivano i cardini della centuriazione: la provinciale attuale detta di Terzadio e quella di Merzadio presso la Tana, altro fondo che doveva essere di un colono di nome Marco e dette origine ad un vico segnato nelle antiche carte del Canavese: "Marciacus" o "Marciagus". Con la groma i Romani avevano suddiviso il terreno in quadrati di cento parcelle, di due iugeri ciascuna, ossia di mezzo ettaro. Con il decumano Ozegna-Rodallo, tali cardini formavano un vasto reticolato di vie secondarie dette "stratelle". Per queste strade si propago anche il primo annuncio della fede cristiana, la Quale servi ad amalgamare la convivenza con i barbari invasori: Eruli, Ostrogoti, Longobardi e Franchi.
L'idronimo "Malesina", in antico "Amalicina", e di derivazione longobarda. Cosi la leggenda della val Morella, che al tempo dei Franchi si diceva "più ricca della Francia bella" per i suoi favolosi tesori (400 spade d'oro e una chioccia con 12 pulcini d'oro), per il suo pozzo profondo, le fornaci ecc., deve con tenere una parte di verita. Si sa infatti che l'oro anticamente si lavorava presso i brik, poiche al di Sotto era palude. Ora pare che quell'oro si trovi a Monza nel tesoro di Teodolinda. Come sia finito la, dov'e custodita la corona ferrea che incorono Re Arduino, rimane un mistero. Oggi si trova cola, in regione Ronchi, un'industria di laterizi.
UNA CORTE REGIA
Carlo Magno, com'e noto, trasformo i ducati longobardi in con tee e marchesati, riservandosi in mezzo ad essi delle terre come appannaggio reale e corti d'appello per amministrare la giustizia. Cosi tra Torino ed Ivrea, lungo il corso dell'Orco, sorse una delle corti regie, detta grande, che comprendeva riserve di caccia e di molini nei paesi adiacenti il nostro territorio. II nome e ora ristretto a Cortereggio, divenuta frazione di San Giorgio, mentre il termine "Canavese", in origine limitato a terre vicine all'Orco presso Cuorgne, si e esteso ad un complesso di lor comuni.
Dalla "curtis Orgii" il re carolingio Ludovico II il 2 novembre 864 spedisce una lettera alla moglie. Nell'862 il fratello Carlo il Grosso dona al vescovo di Vercelli la nostra corte regia, che da allora si disse "curia". Nel 1003 il marchese d'lvrea Arduino, divenuto re d'Italia in opposizione all'imperatore Enrico II, dona la corte, che gli abitanti del posta preferiscono chiamare con la denominazione del castello, di "san Giorgio", al diacono Teuderto della chiesa eporediese.
Oh potenza del Santo che trionfa suI drago simboleggiato dall'Orco: la terra dell'Orco (georgii) viene battezzata San Giorgio! Ma l'imperatore riconsegna la corte a Vercelli nel 1007. L'altalena sembra concludersi nel 1019, quando il marchese d'Ivrea Ottone Guglielmo ne fa dona all'abbazia benedettina di Fruttuaria, dove era morto il re pentito Arduino. Dal 1027 e pero di nuovo della chiesa eusebiana, finche nel 1094 ritorna a quella d'Ivrea, che l'infeudo ai conti Biandrate.
I diplomi di tali donazioni accennano ad insediamenti umani superstiti, e ad altri scomparsi, come Cervario e Misobolo ad est di S. Giorgio, Rovereto, Capraria e Terzo a sud; cosi si assiste alIa genesi storica di questo centro importante: dapprima alIa periferia della Corte regia, poi Castello fortifica to con semplice palizzata e un ricetto, quindi il borgo diviso in borgalli, detti terzieri, di Molinatto, Platonia e Ritania; dominato dal castello dei feudatari che favorira l'affermarsi del centro, rendendolo più sicuro, mentre Cortereggio, rovinata anche dalle piene dell'Qrco, passera ad un rango subalterno.
I CAVALIERI DI RUSPAGLIE
La casa di Biandrate raggiunse grande notorietà con Guido il Grande (1119-76), amico dell'imperatore Federico Barbarossa, il Quale fu più volte ospite del feudo di S. Giorgio. Da un diploma del 1°settembre 1174 si apprende che quel conte e i suoi figli donano ai Templari cio che possiedono nel luogo e fondo di San Giorgio "de Canaveso", nel territorio detto Ruspalia e dintorni. In quella mansione c'era il sig. maestro Bonifacio, fra Alcherio e fra Amiso portinaio. In tale atto si ravvisa la più antica memoria del passaggio del titolo "Canavese" sulla riva sinistra dell'Orco, mentre prima era esteso al solo Valpergato. Dopo la soppressione del 1372, quel priorato passo ai cavalieri di Malta e fu annesso alla precettoria di S. Nazario d'Ivrea. Nel "liber decimarum" della diocesi d'Ivrea (1368-70) e nominata la chiesa "de Rispales", che esiste tuttora in regione Ronchi. Tra i più ceIebri cavalieri vi fu lo scrittore Benvenuto Sangiorgio, che ottenne da Carlo Va Pamplona il titolo comitale per il suo paese. Alla commenda dei cavalieri di Malta apparteneva una cascina all'inizio di via XXV luglio, con croce ottagona, forno, stalla, pozza; ma con la rivoluzione francese la commenda si estinse. Rimane qualche ricordo della toponomastica catastale, ad es. Donzelletto.
LA VENUTA DI MISOBOLANI
Ivrea verso il sec. XII, grazie ai privilegi concessi al suo Vescovo, pote costituirsi in comune autonomo. E quando il Marchese di Monferrato con il Conte di Biandrate, invece che portare l'ordine, venne per restarci, fu estromesso da una'sollevazione popolare che ebbe per eroil)a la bella Mugnaia verso il 1192. Nelle campagne dominavano i Signori.
Nel 1094 Umberto II, il Rinforzato, aveva donate alla chiesa di S. Maria di Ivrea il paese di Misobolo, il cui nome significa borgo franco ossia esente da imposte, uno dei primi tra i pochi comuni sorti allora come a Borgofranco di Ivrea, di Bollengo, ecc. Ivrea garantiva ai suoi abitanti franchigie di cittadini Romani, come se fossero eporediesi. Perche questa liberal ? Perche Ivrea era di tendenza guelfa ossia tutelava la liberta della Chiesa che l'Impero tentava di asservire.
Nel 1213 si ha la famosa carta della concordia tra i Conti del Canavese ed il Comune d'Ivrea, un trattato di vera confederazione canavesana, che dureta per un secolo. Poi i Conti si divideranno in 2 partiti, capeggiati dai S. Martino e dai Valperga. Nel 1333 il Principe d' Acaja con is. Martino assedio invano per due mesi il castello di S. Giorgio, sostenuto dal Marchese di Monferrato. In com pense si sfogo - dice il Bertolotti (2) - nel devastare i dintorni. Nel 1339 le "barbute" del capitano di ventura Malerba, il cui vero nome e Rodolfo Givert, dopo aver tentato invano di conquistare il castello Malgnl di Rivarolo, aiutati da 800 Sangiorgesi guidati dai Biandrate, si recarono ad assediare e saccheggiare Montalenghe, il cui castello era d'un Conte di S. Martino. I Misobolani che simpatizzavano per Montalenghe guelfa e spesso avevano resistito aIle mire dei Biandrate, furono coinvolti in disfatta. Percio decisero di lasciare illoro borgo e di unirsi a Montalenghe. Ma questo sbaglio tattica, assegnando loro una zona verso Orio, il monte Patero o Cernitore, forse per allontanare il più possibile i Misobolani dall'influenza di S. Giorgio. Cosi, mentre questo veniva assediato dagli stessi avventurieri tedeschi con cui era alleato, i Misobolani - come canto il Sangiorgese salesiano Don G.B. Francesia - discesero nell'ospitale Gerbido, sentendosi più sicuri presso i Cavalieri di Malta:
"Le fresche genti vivon sorelle; case a case s'aggiungono, e le nuove sulle antiche si levano più belle".
Intanto in tutto il Canavese divampava il Tuchinaggio ossia il movimento insurrezionale della gleba contro i feudatari. Per intervento dei Savoia si tento di pone fine aIle efferatezze che si compivano da entrambe le parti, con il trattato di Valperga del 1391. Allora i Nobili presero a fare parziali concessioni, concordando "gli Statuti", basati sulla fede e la legge. I Signori di S. Giorgio li promulgarono con la Credenza gia nel 1343 dopo il saccheggio.
Caratteristici tra gli altri i bandi: 68, che vieta di far pascolare le bestie nel Terzadio; 69, che punisce chi asporta legname del Fraschetto "a ripa vallis musarie versus altinos Ruspalis"; 70, che proibisce di dar fuoco sia al Terzadio che al Fraschetto. Nel 1422 furono rinnovati gli statuti "Burgi et curie sancti Georgii"; cosi nel 1468 "capitula et statuta castelanie sancti Georgii" vengono definiti in maniera più giuridica per amministrare la giustizia. Nel secolo seguente i Conti si dividono il borgo e la corte o distretto in tre ceppi: di Foglizzo, della Rocca di S. Giorgio e di Balangero con la firma di "patti e convenzioni" nel 1516 e 1575.
DALLA PERIFERIA AL CENTRO
Nel 1500 ai signorotti feudali s'erano aggiunti gli invasori Francesi e Spagnoli acreare confusione e disordini.
Nel 1536 San Giorgio con le terre vicine fu saccheggiato dalle truppe spagnole di Cesare Maggi, ma poi tornarono ancora i Francesi, imponendo varie spese, per fortificazioni, alloggiamenti, tasse. A ciò si aggiungano le pestilenze. Nel 1586, per sfuggire il contagio, i Sangiorgesi fuggivano numerosi nel bosco Terzadio in casupole di legno, al punto che si dovevano sbarrare le porte del paese e formare delle squadre di sol dati per impedire che i fuggiti tornassero a rifornirsi di viveri. E a questo punto che gli abitanti nelle cascine, casupole, areali, borgalli del Gerbo grande di San Giorgio decisero di farsi una cappella propria, dedicandola ai santi Fabiano e Sebastiano, invocati nelle pestilenze. I primi accenni a questa cappella, che veniva eretta nel sito della chiesa parrocchiale attuale, risalgono al 1622. Dagli atti del sinodo dell'Abbazia di Fruttuaria si trova infatti che un Don Bernardino Emilio, rettore della cappella di S. Giovanni Battista nel borgo di Platonia, veniva condannato, per mancanza di partecipazione, a pagare tra I'altro "3 crosazzi" d'oro per la cappella del Gerbo. Si sa poi che a San Giorgio morirono di peste, solo neI 1630, circa 1500 persone, compreso il Conte Guido Aldobrandini, e che I'anno seguente i Sangiorgesi dovevano ancora uscire verso il Gerbo per sottoporre a purga le loro case. Si aggiunga ancora la scomunica inflitta dal Papa ai Sangiorgesi per violenze e delitti vari, compreso il saccheggio del castello del 1518, e si capira la condizione disperata di quei tempi. Poiche nel 1655 papa Alessandro VII incarico il vescovo d'Ivrea di assolvere e benedire il popolo di S. Giorgio, il quale, per penitenza eresse le 3 confraternite can cappelle ancora esistenti; anche il cantone del Gerbo grande, come fosse un borgo a se stante, un quartiere di S. Giorgio, volle costituire una propria confraternita. sara stato qualche immigrato da Misobolo a suggerire di dedicarla all'Addolorata, venerata fino al 1662 nella chiesa ancora esistente. La confraternita viene eretta canonicamente can decreta del 19 gennaio 1668 del Generale dell' ordine dei Servi di Maria, fra Ludovico Giustiniano, e approvata dall'Ordinario Giovanni Amedeo d'Alinges, abate di S. Benigno, il 20 maggio 1739. Essa diverra l'anima di tante future realizzazioni: la nuova chiesa, scuole, municipio, che sorgeranno dalle ispirazioni e rendite dei suoi membri.
LA PRIMITIVA CAPPELLA
Dalla descrizione che si fara al Nunzio apostolico in Piemonte, Mons. Merlini, in visita al Gerbo il 25 luglio 1746, da parte dei più anziani del paese, la cappella situata entro l'attuale presbiterio della parrocchiale sarebbe stata alta poco più della statura d'un uomo; che in essa si celebrava la Messa, si recitavano gli uffizi della confraternita dell'Addolorata, s'insegnava il catechismo e si sam ministrava l'Eucarestia agli infermi.
Una descrizione più esatta si trae dagli atti della visita pastorale fatta dall'Abate di S. Benigno Giuseppe Antonio Bertodano nel 1693: "Tra le chiese fuori del luogo di S. Giorgio, fu visitata la cappella sita nel Gerbido grande di S. Giorgio satta il titolo dei Ss. Fabiano e Sebastiana; in essa si svolgono funzioni parrocchiali con il consenso dell'arciprete di San Giorgio per la maggior comodita di detto arciprete e della popolazione molto numerosa.
Si trovo quanta segue: primo, l'altar maggiore dedicato ai Ss. Fabiano e Sebastiana, can un tabernacolo di legno, satta il Quale ve n'e un altro contenente in una piccola uma di legno dorato rivestita all'interno di seta rossa, reliquie dei Ss. Martino, Isidoro ecc. Possiede 2 calici, 2 messali, 2 confessionali, pianete d'ogni colore, e il pulpito. Come cappellano funziona Don Francesco Boggio, eletto dai particolari del Gerbido can il consenso dell'Arciprete. Vi e la lampada del SS. Sacramento. C'e una torre campanile can 2 campane. (TO, A.S. S.r. mazzo 19, foglio 14).
IL GERBO DEL 1741
Stralciando da "Gli atti di smembramento dei particolari del Gerbo di San Giorgio".
Riportiamo prima le tesi dei Gerbolini e poi dei Sangiorgesi, da cui in qualche modo viene descritta la situazione del Gerbo del 1741.
La chiesa del Gerbo satta il titolo dei SS. Fabiano e Sebastiana gia da molti anni castruita dai particolari del Gerbo vedesi fabbricata d'ottima struttura e capacita per il popolo, con il suo campanile e la casa che serve al cappellano composta di 5 camere, cantina e boschera, sufficiente per una chiesa parrocchiale e abitazione d'un parroco. La chiesa è distante più di trabucchi 999 (trabucco = m. 3) dalla parrocchiale di S. Giorgio dalla Quale sana paste in egual distanza le cascine esistenti nel circuito della chiesa del Gerbido.
La strada detta grossa resta incomoda ed impraticabile dal mese d'ottobre in occasione delle piogge annuali dette di S. Michele dalle quali viene inondata e tutta fangata da non poterla transitare a piedi. E similmente resta impraticabile con la caduta della neve, conservandosi pur tale in primavera per la dissoluzione della neve e continuo dominio dei venti di Pont e Biellese, essendo poi d'estate incomoda per la gran polvere, senza alberi che facciano ombra.
Si tratta di persone povere rurali occupate anche nei giorni di festa dalla custodia del bestiame e talvolta dalla coltura dei loro fondi e ritiramento dei frutti.
più volte e successo, stante la lontananza della parrocchiale, esser morti fanciulli per strada mentre si portavano al Battesimo. Cosi sono morte persone senza esser munite dei Sacramenti perche il Cappellano era ammalato senza che da S. Giorgio potessero essere soccorsi in tempo.
Tra le dichiarazioni rilasciate da quei di S. Giorgio, stralciamo le seguenti:
II Gerbo non e altro che un tenimento di pascoli comuni e pubblici della comunita di S. Giorgio in misura di giornate 330 circa in figura rotonda o quasi ovale, dove sogliono condursi al pascolo i bestiami del luogo di S. Giorgio, senza che in esso vi sia costruito alcun edificio fuorche la chiesa nel mezzo con l'abitazione retrostante del Cappellano ed un 'altra casa vicina abitata dal fabbro Trivero e fratelli Boggio, essendo il resto tutto gerbido nudo senza neppure una pianta d'albero.
Gli edifici abitati dai particolari del Gerbo grande sono fuori del recinto di detto tenimento detto del Gerbo grande, in diverse e rispettive situazioni, parte in regione Berchetto, parte in regione Merzadio, parte in regione Garimonda e parte in regione Sottocosta.
Dalla chiesa del Gerbo alIa parrocchiale di S. Giorgio non v'ha maggior distanza di un miglio; la maggior parte delle case del Gerbo si trovano in minor distanza di un miglio.
Le ultime cascine poste inferiormente al Gerbo verso Foglizzo e le cascine di Cortereggio non sono possedute dai particolari del Gerbo e cioe la cascina detta la Commenda, quella del sig. Conte Margherio, due del Priore Negri, due del sig. Conte di Foglizzo, altra degli eredi del fu Biagio Miglio, altra del sig. Avv. Botta, altra dei fratelli Peyla, altra del sig. Ignazio Boggio, altra degli eredi del fu Avv. Cortina, e queste sono abitate tutte dai rispettivi massari i quali sono soliti frequentare i divini Uffici nella parrocchiale di San Giorgio.
Le strade tendenti dal Gerbo a S. Giorgio sono spaziose e comodissime in ogni stagione anche quando piove, atteso che la pioggia viene assorbita facilmente dalla qualitit giarosa del terreno.
In modo speciale la strada grossa tendente dalla chiesa del Gerbo a S. Giorgio e una delle strade più comode e praticabili del Canavese. E frequentata in ogni giorno e notte, ancorche vi sia gelo, neve, pioggia, perche non e soggetta ad alcuna inondazione, corrosione, sprofondazione, ne fango che impedisca il passaggio. E praticata da gente d'ogni paese soprattutto nei giorni di mercato, e vi passano persino le persone più distinte come i sig. Vassalli delluogo tanto a piedi che in carrozza, specialmente in occasione della loro villeggiatura, quando sogliono fare quasi ogni giorno il loro diporto in compagnia delle sig.re Dame sino alIa chiesa del Gerbo.
L'arciprete di S. Giorgio Don Ambrogio Mollo dichiarava.
"Dico e rispondo che questa mia parrocchia, compresi i Cascinali del Gerbo ed altri, resta composta di 4000 anime circa, non sapendo qual precisa parte ne vengano a comporre i detti particolari del Gerbo, i quali veramente sono tutte persone rurali. Le abitazioni dei particolari e vero che in parte si ritrovano separate nella circonferenza di detto Gerbo, ma e pur vero che molte vi si trovano unite ed in forma di piccoli quartieri, e sono a vista di detto Gerbo. Non nego trovarsi al di lit del torrente Malesina le cascine dette della Goretta proprie di Battista Giorgio e Giovanni fratelli Cerutti e di Carlo Basso detto Frensina, come anche altre in numero di quattro, proprie dei sigg. Feudatari di questo luogo situate nel distretto del medesimo, ma pareggiate presentemente dai particolari di detto Gerbo concorsi nella costituzione della dote per la pretesa nuova parrocchia. Gli abitanti in dette cascine, volendo portarsi alla chiesa del Gerbido, devono parimenti passare per strada intersecata dallo stesso torrente e cosi incontrare lo stesso impedimento in occasione delle escrescenze. Nego che per causa delle strade impraticabili i particolari del Gerbo non intervengano nella parrocchiale ad udire la parola di Dio, molto meno che la maggior parte di detto popolo sia male istruito nei dogmi della fede, trovandosi diretto con raddoppiata vigilanza da me e dalloro Cappellano".
LE LOTTE D'INDIPENDENZA
Il sangue dei Salassi e dei Tuchini, nonchè dei Misobolani e degli Arduinici, che in qualche modo scorreva nelle vene dei Gerbolini del ceppo canavesano, diede origine ad un secolo di lotte civili e religiose per ottenere l'autonomia municipale e parrocchiale. Mentre le cascine sparse si accentravano sempre di più dalla periferia (prova ne sia la sparizione di cascine come il Castelletto, Dossi, ecc.) e si formavano i primi rioni o gruppi di case attomo al campanile, nasce l'esigenza di avere suI posta i servizi religiosi, civili, commerciali, assistenziali indispensabili. Ma si doveva seguire un itinerario burocratico e giuridico sia presso la Chiesa istituzionale sia presso gli organi delle Stato Sabaudo. Era quindi questione di tempo, di soldi, di diplomazia, di fronte ad un San Giorgio potente per i suoi Conti, la patria dei 3 Carli e della terribile "lena", un arciprete don Mollo che non mollava, ecc. E non basteranno i tribunali ordinari competenti, ma si ricorre fino al Re ed al Papa. Fu una lotta democratica condotta dalla comunita del Gerbo con fierezza ed ardimento, e nella stesso tempo nel rispetto del diritto civile e canonico e delle origini dalla propria madrepatria. Una lotta che sfocera nel Risorgimento nazionale!
Un cenno di tale brigante famoso condannato all'impiccagione nel 1835, per la cui assistenza spirituale passò in S. Giusto S. Giuseppe Cafasso detto "il prete della forca". Si chiamava Giorgio Orsolano accusato d'aver violentato ed ucciso 3 bambine: Francesca Tonso di 14 anni, Caterina Givogre di 9 e Caterina Scavarda di 10 anni, per aver ridotto i loro cadaveri in pezzi, per furti in chiesa, ecc. Siccome era salumaio, si concluse che volesse spacciar carne anche umana.
IL GERBO
Come si presentava l'abitato del "Gerbo", prima che si chiamasse "S. Giusto": una grande chiesa isolata al centro del "gerbo grande" (per distinguerlo dalle altre zone incolte disseminate fra i cascinali) e quattro raggruppamenti di abitazioni rurali, distinti in quattro "cantoni" due al di qua e due al di la della strada "grossa" (strada provinciale Chivasso-Ozegna, oggi strada provinciale N. 40 di S. Giusto).
I quattro storici "cantoni" appaiono nettamente distinti nelle prime carte planimetriche del tempo, rappresentati persino con il disegno tratteggiato delle casette, più grandi o più piccole, secondo la grandezza delle costruzioni. a nord il canton Berchetto; a est il cantone Sottocosta (il più dense di caseggiati); a sud il cantone Garimonda;ad ovest il cantone Merzadio.
L'intero abitato non era altro che un agglomerato di cascine raggruppate ai quattro angoli periferici del "gerbo grande" dell'estensione di 360 "giornate", di proprietà dei cosiddetti "particolari" del Gerbo o di proprieta dei "signori vassalli, feudatari" (nobili del posto). I "particolari del Gerbo", tutte persone rurali, costituenti gia una popolazione di circa 2.000 anime (ogni famiglia allora si presentava numerosa e strettamente unita al capofamiglia, non solo da vincola patriarcale, ma dalla necessita di unire le forze nel duro lavoro dei campi), si confondevano e mescolavano con i mezzadri delle cascine, con i quali condividevano le asprezze della fatica. Con quale invidia sollevassero i loro occhi dalla terra al passaggio dei nobili, che a piedi o in carrozza passavano attraverso i pascoli comuni o pubblici, specialmente in occasione della villeggiatura,si puo ben immaginare.
Sulle prime planimetrie spiccano le seguenti proprieta padronali:
1. La Cascina Commenda dell'Ordine dei Cavalieri di Malta;
2. La Cascina del Conte Margherio;
3. Due Cas cine del Sig. Conte Negri;
4. Due Cascine del Conte di Foglizzo;
5. La Cascina del Sig. Miglio;
6. La Cascina del Sig. Medico Botta;
7. La Cascina dei frateIli Peyla;
8. La Cascina del Sig. Ignazio Boggio;
9. La Cascina degli eredi dell'Avv. Cortina;
lo. Le Cas cine Goretta dei fratelli Cerutti e di Carlo Basso (detto Frensina);
11. La Cascina del Sig. Don Giulio;
12. La Cascina del Sig. Marchese di S. Giorgio;
13. La Cascina dell'Avv. Lancina;
14. La Cascina della Congregazione;
15. Le due Cas cine del Sig. Conte di S. Giorgio;
16. La Cascina del Sig. A vv. Viano;
17. La Cascina Rurale del Sig. Marchese Folizzo;
18. La Cascina del Sig. Leona;
19. La Cascina del Sig. Giovanni Pietro Boggio;
20. La Cascina Capetto (di giornate tre e mezza);
21. II Cascinetto Giulio.
II perimetro della situazione dei beni dei "particolari" del Gerbo del 1770 evidenzia, è vero, le piu antiche famiglie del luogo, ma con speciale riguardo ai Signori notabili. La nobilta prima della Rivoluzione Francese faceva sentire tutto il suo peso, non solo in Francia, ma anche nel vicino Piemonte. Tra la nobilta, ultimo residuo feudale, e l'autentico popolo del Gerbo, ivi nato e cresciuto, senza aver mai varcato i propri naturali confini, il solco era profondo: inevitabili rivoluzioni dovevano sorgere perche la societa si destasse dal lungo letargo. Le scarse risorse economiche, se da un lato potevano essere sufficienti alle esigenze dei padroni, dall'altro non saziavano la fame dei poveri addetti alla terra.
Per quanto il Re Carlo di Piemonte, principe assoluto e nulla piu, tentasse di sopprimere l'intero sistema feudale, la vera nobilta, che formava il nerbo del suo esercito, glielo impedi! Cosi tutte le attenzioni regali furono rivolte all'esercito, considerato la vera chiave dell'indipendenza. Poco amatie favoriti gli studi, e, per conseguenza, spiriti singolari diventavano i dotti.
In questo stato di cose, fra la nobilta e l'esercito, vivevano la loro umileesistenza gli abitanti del Gerbo, entro il perimetro delle case antiche: vere aziende agricole o case coloniche punteggianti il verde piano che si distende dalla "Costa" alIa "Malesina". Erano i tempi d'oro della vita semplice; materialmente povera, si, ma ricca di patrie virtu e potenziali energie. La severita dei costumi e degli ordinamenti e testimoniata dagli storici "Capitoli dei Bandi Campestri", formati per atto di congregazione generale" I'8/XIIl711 dal Comune di S. Giorgio e adottati poi dal Comune di S. Giusto nella sua separazione da S. Giorgio. Si tratta di un vero e proprio regolamento di vita comunitaria, nutrito di numerosi articoli che dettagliatamente elencano le possibili infrazioni di norme da tutti accettate, con 1 'indicazione a fianco dell a pena peCUllIana. Alcuni esempi significativi, nella loro originale terminologia:
- Per ogni persona che sara accusata d'aver asportato o tagIiato viti nei beni altrui incorrenl nel banda di lire quattro per caduna pianta;
- Per ogni lova di meIiga L. 0,5.
- Per ogni cavagna d'uve L. 2
- Per ogni sacco d'erba dei prati L. 1,lo
- Per ogni fascio di fogIie raccolte nei beni altrui L. 1,lo
- Per ogni persona che sara accusata romper le altrui storte per l'adacquamento dei prati nei torren ti del finaggio L. 5
- Per ogni persona accusata d'aver fatto teppe nei prati altrui L. 4
- Per ogni persona che sara accusata d'aver pascolato bestie bovine, asinine, equine e porcine nei campi seminati di altri, incorrera nel bando caduna volta L. 2
- Per ogni persona che sara accusata di passare con carro e bovi per Ii seminati altrui e prati da segare, per caduna volta L. 4
- Per ogni persona che sara accusata di tagIiare in qualunque modo erba incorrera nel bando per caduna volta e per ogni carro, oltre la perdita dell'erba tagliata L. 7
- Che nessun particolare possa per l'adacquamento dei prati far fossi ed acquedotti e strade senza licenza scritta dell'ordinato Consorzio della Comunita, alIa pena del banda di scudi due d'oro per caduna volta L. 15
- Più che non possa alcun particolare vendemmiare e raccogliere uve nei beni propri per far vino senza licenza della Comunità e finche venga generalmente permessa la vendemmia, sotto pena di scudi due d'oro. II che anche si osservera nella raccolta delle melighe L. 15
- Più che passando qualcheduno con carro e bovi per illuogo, per schivar il pericolo d'ogni danno ai figliuoli debba andar avanti a Ii bovi, e non sovra il carro, altrimenti incorrera nel bando di L. 3,lo - Più saranno ten utili distillatori d'acquavite farsi un pozzo morto nelle loro case per vuotare il vino cotto, qual non potranno vuotare nelle strade, altrimenti incorreranno nel bando d'uno scudo d'oro, per evitare il fetore che per detto vino viene causato L. 7
- Più che sara accusato di cavar tronchi del Fraschetto incorrera nel banda di L. 2
Essendo particolari forestieri, vi sara il doppio bando.
- Più non potra qualsiasi particolare forestiero prender creta, sabbia e pietre... Alla pena del bando per cad una volta d'uno scudo d'oro L. 7.
Bastano questi pochi saggi per comprendere il codice di vita della nostra gente antica: cose che accadevano tre secoli fa, di cui i Sangiustesi d'oggi non hanno sentito parlare, ma che una attenta lettura dei documenti storici ci restituisce al cuore e alla immaginazione; cose che hanno influenzato la vita delle generazioni che ci hanno preceduto e devono restare legate alla memoria da un cordone ombelicale che il tempo, almeno nelle famiglie di antico ceppo gerbolino, non ha ancora reciso e dissecato.
La cucina aveva il pavimento in terra battuta; una grande arca conteneva la farina per la polenta, colazione d'ogni giorno. Ai genitori delle giovani spose i maligni sibilavano: non avevate Più polenta, per accasare cosi presto la figlia?
Nella grande cucina, male illuminata da una piccola finestra, di giorno, e da un tremolante lumino di lucerna, la sera, si raccoglieva la numerosa famiglia di buon mattino e suI far della notte. II giorno si trascorreva nei campi e nei prati, con la merenda appresso: vinello del Fraschetto, pane cotto al forno a legna una volta la settimana, un po' di toma casalinga e buon salame fatto in casa.
L'orario di lavoro, dall'alba alla notte, senza nessun giorno di riposo. La domenica, giorno di messa, nella chiesa grande appena costruita: una breve parentesi comunitaria; poi, di nuovo al lavoro, ad accudire il bestiame, il Quale va sempre guardato, anche nei giorni festivi.
Nei grandi mastelli di legno si ammucchia la biancheria; suI fuoco, quando i lavori dei campi dan tregua aIle donne, si scalda un "bassin" d'acqua, che poi, bollente, si versa al sommo della biancheria da lavare, ricoperta da un telo di canapa cosparso di cenere ben selezionata e monda da impurita.
Cosi vivevano nel Gerbo grande: temprati fisicamente a tutte le fatiche e votati al duro lavoro della campagna.
Ma che piacere, la sera, dopo aver trascorso qualche ora nella stalla, a chiamar per nome ciascun animale, quasi per misurarne l'umore e la salute, abbandonare finalmente le stanche membra sulle "pagliasse" riempite di crocchianti foglie di pannocchia di granoturco!
I ragazzini, dopo aver stretto forte la mana della mamma, sono gia a letto, con le coperte tirate fin sopra la testa.
Riposa I'antica famiglia, vegliano i cani da guardia presso il fienile.
Oggi, di quel "Gerbo" antico, non e rimasto che il nome, legato ad una piazza rimasta verde come allora: uno dei pochi spazi erbosi, ancora coperti di erica, autentica testimonianza d'un tempo.
La piazza, denominata appunto "Piazza del Gerbo" (cosi sta scritto negli atti municipali della revisione toponomastica del 1973), e la piu gran de per estensione esistente nel Comune, ed e quella che si stende a ridosso della Tana, fra le nuove civettuole costruzioni che hanno conservato al paese I'aspetto di un piano edilizio rigorosamente geometrico.
Una perla antica, incastonata nella cornice di civili e moderne abitazioni; il simbolo del cammino del tempo: dal vecchio al nuovo.
MAPPA CATASTALE
Al centro del paese vi e il Gerbo grande, I'isola, la matrice, il capo che diede nome a tutto il territorio, anche se si e popolato di case per ultimo, rispetto agli altri cantoni. Verso il 1786 i Gerbolini vengono accusati "d'aver acquistato una porzione d'acqua della bealera di Caluso per ridurre a prato il Gerbo grande, irrigando le melighe circostanti, attraversando con molti canali il medesimo, trattenendosi quasi tutta I'estate suI Gerbo". Al che i Sangiustesi opporranno d'aver irrigato solo pochi campi seminati a meliga. Comunque sia stato, ]'episodio descrive la situazione del Gerbo grande di allora: una zona di 360 giornate piemontesi tra il canale di Caluso e il fondo Gerbido, come un importante crocevia (33 strade), con parecchi fossatelli, con pochi olmi davanti la chiesa equalche "morone" o gelso sparso, con "parecchi cumuli di pietra da tutte le parti apparenti". Da tali mucchi di pietra, o da recinti per il riparo di mandrie, devono aver preso nome le regioni a nord del paese: Berchetto, detta pure nelle antiche carte Barchi o Berchietto e Perassone, nonche Petrino. Le regioni attigue al Gerbo: Malpiardo, Grametti, Garimonda ricordano la natura del terreno difficile da coltivare, dove cresceva la gramigna (garmun). A sud, il fondo del Gerbo e solcato nel mezzo dalla strada provinciale Chivasso-Ozegna, detta ancora Nuova (prima del 1887 era una carreggiata detta di Terzadio). Tale strada, prolungando la via Monca del Sottocosta e la strada Grossa detta Soia (liscia) proveniente da San Giorgio, confluiva verso Foglizzo attraverso la strada detta della Bicocca e della Monea, e, ora in modo rettilineo, attraverso il Donzelletto e i1 Terzadio, avendo a mattina la Valle e a sera i Campassi. E la zona piu verde del paese, godendo di abbondanza di acqua, al punta che veniva coltivato, nelle attigue regioni Goliasso, Risera, Miglioni, Canavera, il riso, il miglio, la canapa, mentre Campassi, Mosa, Olivero, Dossi, Strivergo dovevano essere piu asciutte. A est del Gerbo vi sono le parti piu alte: la costa (0 brik) preceduta dal Sottocosta, la zona delle vigne, delle fornaci, delle valli, dei boschi: Boschetto, Fraschetto, Cafassetti, che richiamano Ie ombre della selva Fullicia. A ovest vi sono le parti piu basse, come la Tana, Merzadio, Angassi, Ozzello, la Ral che ricorda gli areali primitivi; cascine presso aree o radure o gerbidi.
DOCUMENTI CHE COSTITUISCONO L'ARCHIVIO STORICO COMUNALE
Periodo delle origini
- Patenti in data 8/lo/1778 con le quali S.M. il Re Vittorio Amedeo separa dalla Comunita di S. Giorgio il Cantone del Gerbo erigendo questo in corpo di Comunita distinto.
- Decreto della Regia Camera dei Conti in data 21/11/1779 portante interinazione di dette Regie patenti.
- Ricorso dei particolari del Gerbo per ottenere tale separazione.
- Patente in data 3/9/1786 con le quali Re Vittorio Amedeo accorda la facolta al Comune del Gerbo di assumere la denominazione di SAN GIUSTO.
- Patenti in data 30/6/1786 con le quali il suddetto Sovrano accord a alla Comunita di S. Giusto la ragione della derivazione di tre once d'acqua dalla bealera di Caluso imperiale bealera: nel periodo napoleonico).
- Catasto in un sol vulume desunto da quello di S. Giorgio dal Segretario della Comunita di S. Giusto notaio Guglielmo Verga.
- Tipo della strada detta di TERZADIO formato nell'anno 1740 (l'attuale strada provinciale Chivasso-Ozegna).
- Tipo dimostrativo fra S. Giorgio e S. Giusto.
- Tipo del Fraschetto formato nell'anno 1770.
- Perimetro della situazione dei beni particolari del Gerbo: 1770.
- Tipo della divisione territoriale formata nell'anno 1783.
- Tipo dei siti comuni da alienarsi nelle regioni Prassone, Malpiardo, formato nell'anno 1792.
- Tipo regolare d'acquedotto derivante dal rivo Malesina formato nell'anno 1792.
- Figura regolare dell'andamento del nuovo fosso sino all'incontro degli acquedotti di Giachino, Mosasco, ecc., formata nel1793.
- Pianta ed alzata del bocchetto di derivazione dalla bealera di Caluso, formate nel 1797.
- Un volume contenente gli stati dei COTIZZI e GIOGATICO degli anni 1783/1799 e lo stato delle persone cui si e applicato il cotizzo (Cotizzo: quotazione sulle persone; Giogatico: canone sugli animali da lavoro).
- Un volume contenente i "causati" dall'anno 1783 al 1799.
- Un volume contenente i conti esattoriali dall'anno 1783 al 1800.
- Parcellari della Comunita di S. Giusto dall'anno 1793 al 1798.
- Acquedotti di Giachino e Mosasco: stato delle spese fatte per la nuova derivazione degli acquedotti di Giachino e Mosasco.
- Quinternetti dell'esazione delle taglie dall'anno 1784 al1799.
- Orari d'acquadura per gli anni 1787-1798.
- Canone d'acqua: quinternetto dell'esazione del canone dell'acqua.
- Fascicoli di ordini di pagamento e quietanze varie dal 1778 al 1799.
- Una copia dei BANDI CAMPESTRI formati nell'anno 1711 dal Comune di S. Giorgio e adattati dal Comune di S. Giusto nella sua separazione da S. Giorgio.
- Atti soggetti all'insinuazione contenuti in un sol volume, dal 1799 al 1805.
- Un volumetto contenente gli atti di deliberamento dal 1784 al 1795.
- Registro degli ordinati originali della Comunita di S. Giusto dal 1779 al 1798.
- Un volume contenente gli atti di lite: atti esecutoriali contro vari particolari morosi al pagamento della taglia del "cotizzo", ed importo per l'anno 1783.
- Atti di lite nella causa della Comunita di S. Giusto contro quella di S. Giorgio circa l'esazione delle taglie di S. Giusto.
- Atti nella causa della Comunita di S. Giusto contro pretendenti circa l'osservanza dei bandi campestri.
- Relazioni di perizia Visetti nella causa della Comunita di S. Giusto contra quella di S. Giorgio.
- Atti sulla causa della Comunita di S. Giusto contra particolari opponenti circa illibera passaggio sulla strada di Malpiardo.
PERIODO MODERNO
La documentazione del periodo moderno e nelle deliberazioni consiliari, accuratamente raccolte e conservate.
Accesso libero.
Pagina aggiornata il 28/10/2024