Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici anonimizzati. La chiusura del banner mediante
selezione dell'apposito comando contraddistinto dalla X o tramite il pulsante "Continua la
navigazione" comporta la continuazione della navigazione in assenza di cookie o altri strumenti
di tracciamento diversi da quelli sopracitati.
COOKIE POLICY
I PRIMI CENT'ANNI DEL COMUNE
Dal nome S. Giusto, riconosciuto dal Re Vittorio Amedeo III nel 1779, a quello di S. Giusto Canavese, accordato dal Re Vittorio Emanuele II ne11862, corre circa un secolo, il primo dell'esistenza del nuovo Comune.
E un periodo di vita travagliata, soprattutto per il Piemonte, un piccolo Stato stretto fra le aspirazioni egemoniche di due grandi potenze, quali la libertaria Francia napoleonica e la conservatrice Austria, il cui dominio si estendeva fino al Piemonte.
II Re Vittorio Amedeo, inferiore al padre per ingegno, ma uguale per spirito militare, scialacquava ingenti somme per l'esercito, nulla facendo di bello e nulla comprendendo delle esigenze dei tempi. Tutto dedito all'arte militare, ciecamente imitava Federico II Re di Prussia, fino a scimmiottarlo cavalcando con il collo torto. Quanto a studi non ebbe gloria alcuna, perché mancava affatto di gusto. Un'Accademia di belle arti fondata nel 1778 non ebbe alcun successo felice; l'Accademia delle Scienze fondata nel 1785 poté chiamarsi reale e nulla più; e le società agrarie sorte nel1785 furono sforzi di soli privati. Nel 1790 finalmente si eresse un osservatorio, che pure non progredì. Pochissimi erano i libri, essendo la stampa ristrettissima; e quei pochi che c'erano, erano in gran parte proscritti.
Da questo stato di cose si può vedere come i grandi ingegni difficilmente potevano diventare celebrio Per quanta il Re volesse proteggere i letterati, non concedeva loro quella liberta che gia per essi cresceva altrove; e cosi i migliori ingegni piemontesi (Lagrange, Alfieri, Denina, Baretti, Bodoni, Berthollet, nonché il conterraneo Carlo Botta, medico-storiografo-politico-letterato, 1766-1837, proprietario della ora diroccata e abbandonata cascina situata tra la Malesina e la cascina della Congregazione, detta Cascina Driia e contrassegnata con it n. 27 nella pianta planimetrica del 1770) si rendevano illustri o grandi trapiantandosi altrove.
I primi sangiustesi in questo periodo cercavano soprattutto di consoli dare la conquistata autonomia, in quanta fin dal 1693 era stata l'autonomia l'obiettivo principale della comunità. I nuovi amministratori comunali, dal primo Sindaco Giacomo Ozzello nel 1778 a Verga Antonio nel 1791, anno in cui fu accettata la divisione territoriale, non potevano avere la forza di ottenere quegli altri elementi che all'autonomia danno sostanza e funzionalità. Tanto più che allora la cittadinanza di S. Giorgio annoverava personalità politiche e parlamentari molto influenti; e noi oggi possiamo pensare che siano state proprio queste forze ad orientare la definizione della vertenza che allora si era promossa, e che si e trascinata per lunghi 14 anni dalla data del distacco da S. Giorgio (1777), per poi finire in un compromesso che, come tutti i compromessi, in parte lascio contenti ed in parte lascio insoddisfatti.
La disposizione territoriale assegnata al Comune di S. Giusto nell'atto costitutivo del 1777 presenta rilievi sintomatici; che vanno evidenziati solo per la verità storica, escludendo qualsiasi aspetto di rivincita fuori del tempo". II modo con cui il territorio del Comune di S. Giorgio Canavese fu distribuito fra quel Comune e quello di S. Giusto appare subito evidente allorché si abbia davanti la pianta topografica della zona.
Al Comune di S. Giusto e stato attribuito, nella parte a nord, solo quel territorio che in qualche modo comprendeva gli abitati civili od agricoli integrativi del concentrico o situati nella sua immediata periferia.
Per render la cosa ancor più chiara, potremmo dire che, nella parte a nord, e stato dato al Comune di S. Giusto quella misura territoriale al di sotto della Quale non era possibile andare, e questo sembra essere l'unico criterio che ha guidato la ripartizione dei due territori. Ne e derivato, per conseguenza e per giunta, che al Comune di S. Giorgio e stata assegnata in questa parte una circoscrizione territoriale la Quale chiude l'abitato di S. Giusto in una morsa, o, meglio, in una tenaglia all'altezza della Cascina Ruale, riservata al Comune di S. Giorgio.
La ripartizione dei due territori presenta qualche altro aspetto che solo le generazioni successive poterono ritenere assurdo, quando cioè erano ormai scomparsi i potenti politici di S. Giorgio, quali il francofilo Carlo Botta (che fece parte del governo provvisorio napoleonico e in tale ufficio propugno addirittura l'annessione del Piemonte alla Francia. Non si dimentichi che il Piemonte divenne dal1802 la 27° divisione militare delle Stato Francese e che tale rimase fino al 1814), la potente famiglia dei Giulio (Carlo Stefano, insieme a Carlo Botta e a Carlo Bossi, aveva fatto parte del governo del Piemonte creato da Napoleone), il grande giurista e uomo politico Matteo Pescatore (1810/1879), varie volte deputato e infine senatore del Regno nel 1873. E superfluo ricordare i Conti Biandrate e tutti quegli altri notabili che in S. Giorgio tenevano case nobiliari e nel territorio del Gerbo Ie loro redditizie cascine, amministrate da fattori e mezzadri. Soltanto dopo queste considerazioni si può comprendere come la distribuzione territoriale allora attuata resto cosi illogica, che sarebbe ora difficile incontrarne una analoga o peggiore, non solo nella nostra zona, ma anche in tutto il territorio Italiano. Come potevano i "particolari" del Gerbo, di cui chi sapeva leggere e scrivere passava per letterato, competere con simili personalità? Solo in questo modo si spiega come il territorio di S. Giorgio, cosi come e state definito nell'anno 1777, pur avendo il proprio capoluogo molto a nord di quello di S. Giusto, cosi rimase anche in seguito, spingendosi a sud fino a confinare con il territorio delle stesso Comune di Foglizzo. Si osservi: il territorio di S. Giorgio si insinua tra quello di S. Giusto e di Montalenghe; poi si infiltra in una strozzatura di pochi metri, per poi espandersi notevolmente - dopo la strozzatura - molto a sud dell'abitato di S. Giusto, fino a congiungersi con il territorio di Foglizzo, dove allora imperava un altro ramo dei Conti Biandrate.
Si direbbe proprio che i confini tra le due circoscrizioni territoriali di S. Giorgio e di S. Giusto siano stati segnati "sulla carta", quasi a piacimento di "lor Signori"; forse sono stati tracciati con il criterio di ricalcare la linea divisoria delle proprietà fondiarie.
L'ubicazione del capoluogo di S. Giusto nell'ambito del suo territorio e rimasta completamente spostata verso nord; lontana da una ubicazione ideale o da quell'ubicazione che dovrebbe essere al centro di un cerchio o di una qualunque formazione geometrica regolare con i confini logici di un fiume, un torrente o una strada.
Ma se, ad ogni buon conto, il Comune era fatto, non era fatto il paese.
La comunità, per quanta moralmente unita e compatta, si presentava materialmente dispersa e divisa.
Mancavano tutte le strutture di un civile consorzio. Una grande chiesa parrocchiale isolata in mezzo al "gerbo grande" ed una povera casa municipale a lato, dove, "precedente il suono di campana, nella solita sala delle congreghe", si radunavano i signori Sindaci e Consiglieri comunali per dare un assetto organizzativo al nuovo Comune. L'economia rurale dei "particolari" impose subito la formazione degli opportuni "bandi campestri". Per intanto si delibero di valersi di quelli formati dalla Comunità di S. Giorgio (Sindaco Margherio Francesco, 1784).
Connessa al rispetto dei bandi era l'amministrazione della giustizia, che si continuava ad esercitare in S. Giorgio. Fu merito del Sindaco Boggio Antonio se in data 11 agosto 1798, in seguito alle rimostranze dei Gerbolini, fu emessa ordinanza del Senato del Piemonte con cui si ordinava al Giudice di S. Giorgio di trasferirsi settimanalmente in S. Giusto per l'amministrazione della giustizia.
In pari tempo la comunità dava incarico al "misuratore" Bartolomeo Benelli di Montalenghe di procedere ad una verifica, se fosse possibile alimentare un molino a due o tre ruote con le acque derivate dal torrente Malesina e de correnti per l'acquedotto detto "Giachino". Riuscito positivo l'esperimento e fatta la stima delle spese occorrenti, fu deciso l'ingrandimento di detto acquedotto per la costruzione di un mulino che, "attesa la popolazione del luogo di circa due mila anime, grandissimo comodo ne sentirebbero li particolari".
Sono questi i problemi pratici di cui si occuparono i Sindaci dei primi cent'anni, che, fino alla Rivoluzione Francese, si alternavano ogni sei mesi alla guida del Comune. Alcuni nomi ritornano, altri sono nuovi.
Dalle origini all'avvento di Napoleone gli archivi comunali ci tramandano i seguenti nomi:
Ozzello Giacomo (1778), Verga Antonio e Gatto Antonio (1780), Gioannini Antonio (1781 e 1783), Margherio Francesco (1784), Petrini Giovanni e Ubertalli Pietro (1785), Gioannini Giorgio (1786), Gatto Antonio e J ana Antonio (1787), Boggio Antonino (1788), Margherio Bartolomeo (1789), Pastore Giovanni e Petrini Giovanni (1790), Bertot Martino e Verga Antonio (1791), Gioannini Giovanni e Gioannini Stefano (1792), Petrini Domenico e Gioannini Domenico (1793), Gioannini Giuseppe e Cantello Antonio (1794), Zanotto Antonio (1795), Sansoe Giovanni e Petrini Giovanni (1796), Tapparo Bartolomeo e Verga Antonio 1797), Pastore Antonio e Boggio Antonio (1798), Boggio Antonio e Gioannini Francesco (1799).
Questi sono i nostri "majores" o antenati, alcuni dei quali si dimostrarono dotati di particolare abilita, come Gioannini Carlo e Margherio Bartolomeo, i due che nel 1777, quando gia erano deceduti cinque dei procuratori del Gerbo, di nuovo insorsero e a totale insaputa degli abitanti di S. Giorgio strapparono a Re Vittorio Amedeo III i1 sospirato decreto di smembrazione.
Presso la comunità di S. Giorgio i "particolari" del Gerbo avevano chiesto ed ottenuto in qualità di consigliere, un altro valida interlocutore, cosi presentato: "Nel Cantone del Gerbo non si ritrova soggetto di maggior abilita di Gioannini Domenico, persona letterata, di retta coscienza e maturo giudizio".
Con tali amministratori si riordinava la vita della comunità e si definivano le insorgenti liti circa la definizione delle proprietà "particolari". Non pochi furono coloro che, straripando dai propri confini terrieri, occupavano siti ancora vacanti del "gerbo".
Sembravano rivendicare in loro favore una antica norma del diritto di prima occupazione, credendo terre di nessuno quelle che invece erano state assegnate alla comunità. Si scoprirono siti abusivamente occupati nel Cantone Garimonda, nel Cantone Malpiardo e altrove.
Gli occupatori del suolo comunale furono interpellati e invitati a dichiarare se volevano "comporre rispettivamente i1 possesso", fissato da un perito secondo un allibramento uniforme a quello dei beni viciniori di pari grado e naturale bontà, con la "corresponsione delle annue taglie"; oppure, "se li medesimi ricusassero di adattarsi a quanta sopra, la comunità dovrà agire virilmente a termini di regolamento per ottenere la reintegrazione dei siti usurpati, e l'indennizzazione del pubblico per li frutti indebitamente raccolti, e per le taglie non pagate" (1794).
I "particolari" si accordarono, pagando l'usurpazione. Comincio da allora la vendita di siti comunali, considerata come la più gran de fonte di entrate per il Comune: l'enorme ricchezza di cui ebbe gradatamente coscienza quello che si riteneva il più povero dei Comuni. Una saggia amministrazione di essa avrebbe col tempo trasformato il paese rurale, privo di tutte le strutture, in un centro di civile convivenza non inferiore a quello di S. Giorgio.
IL PERIODO NAPOLEONICO
La Francia e lo spirito francese avevano assunto un ruolo di guida europea e lasciato, anche in S. Giusto, tali orme con la Rivoluzione e l'espansione napoleonica, che sarebbe cecità non volerne tenere conto.
Abbiamo visto come la figura del Bonaparte e la sua rapida affermazione furono forse quant'altre mai affascinanti, per l'eredita (tradita o tramandata) del momento rivoluzionario, per la realizzazione d'un disegno d'orgine e di governo, per gli "immortali principi" di liberta, eguaglianza e fratellanza che si diffusero rapidamente nel popolo attraverso le nuove istituzioni di impostazione napoleonica.
SuI suo Impero dovevano modellarsi le Terre d'Italia ed obbedire ai piani di Parigi. Particolarmente il Piemonte, annesso alla Francia come parte integrante della Repubblica Francese fin dalla prima campagna di Napoleone in Italia nel 1796, considerato un paese ricco sul piano agricolo, doveva piegarsi a divenire fornitore di prodotti, messi e soldati per l'Imperatore, che vi preferiva apertamente gli uomini di idee libertarie, purché uomini d'ordine.
Lo storiografo Carlo Botta, per esempio, il nostro grande conterraneo, che, per aver ricevuto solenne sepoltura nel Tempio di S. Croce in Firenze insieme ai grandi d'Italia, ebbe forse onori superiori ai suoi meriti, si fece allora portavoce del nuovo credo, e di Napoleone godette i favori, seguendo la fortuna delle armi francesi. Torno al suo Canavese nel 1832 a vivere i suoi ultimi cinque anni di vita, ma con idee democratiche alquanto affievolite; tanto che, dopo il fallito tentativo mazziniano della Savoia, giunse persino a lodare la fermezza dimostrata dal Re nella repressione dei patrioti. Noi lo immaginiamo solitario passeggero per le campagne del Gerbo, diretto verso Cortereggio, il borgo citato nell'anno 882 in un diploma di Carlo il Grosso come l'origine del Comune di S. Giorgio Canavese: motivo allettante per un appassionato ricercatore di storia antica Quale era il Botta.
Superato il ponte sulla Malesina, egli piega lungo la riva destra, che, tutto assorto, lentamente costeggia, immerso in profonde moralistiche meditazioni, finche, arrivato alla sua cascina, riposa la mente insieme ai suoi fattori. Lo segue l'ammirazione e l'apprezzamento della gente, un pubblico numeroso e fedele. Gode ancora molte simpatie come scrittore.
La critica moderna sfrondenl tanti allori, contestando, anche aspramente, il suo valore storico. Ma, allora, era annoverato fra gli spiriti grandi della Patria.
L'impronta napoleonica non investi soltanto il Botta, ma tutti gli ordinamenti civili, politici e militari: la lingua ufficiale divenne il francese; gli atti comunali furono redatti in lingua francese, e tali si conservano; la terminologia francese venne imposta nelle pubbliche relazioni. II Sindaco cedette il posta al "Maire", il Segretario Comunale si firmava "mon" Pietro Cerruti, persino il calendario dei mesi assumeva i nomi d'Oltralpe ("In nome della Nazione Piemontese, anno nono della Repubblica Francese, ed alii ventiseipratile, quindici giugno 1801, in S. Giusto, avanti il cittadino Domenico Lancina, uomo di legge e giudice di questo Comune, nella solita Sala Comunale, sono intervenuti, previo il suono di campana, li cittadini Giovanni Petrini, Francesco Margherio, Antonio Boggio, Stefano Gioannini, Giuseppe Ozello, il primo, presidente, e gli altri, ufficiali municipali, formanti l'intero corpo di questa Municipalita").
II 27 maggio 1800, nel corso della seconda campagna militare, il Generale Bonaparte, con Berthier e trenta uomini di scorta, mentre l'esercito bivaccava nei nostri territori, dopo la sorprendente calata dalla Valle d'Aosta e prima di ripartire per Chivasso, sosto nel castello di Montalenghe e pronunzio in piazza un breve discorso per dire che proteggeva la religione e che personalmente era amico del Papa (Pio VI era gia morto prigioniero in Francia a Valence l'anno prima; il suo successore Pio VII sara arrestato, deportato e infine internato a Savona fino al 1812).
Anche la popolazione di S. Giusto dovette piegarsi al Dominatore e rifornire di provviste di fieno ed altri generi le armate francesi di passaggio.
Ugual prezzo i Sangiustesi dovranno pagare al ritorno delle armate austrorusse, dopo la caduta di Napoleone. I "particolari", creditori del prezzo del fieno (di "rubbi seicento"), in un esposto a nome della Comunità di S. Giusto, sollecitano il pagamento "per averne premura per provvedervi della meliga per la loro manutenzione, ed intendono di essere pagati non gia in biglietti, ma in moneta sonante".
Che i tempi fossero difficili lo si rileva da un altro documento del 31/10/1814, indirizzato al "Sindaco" Pietro Ubertalli CE gia crollato il potere napoleonico) della "Magnifica Comunità di S. Giusto": dalla Sardegna e tornato in Piemonte il Re Vittorio Emanuele I ed ha trovato le sue terre in disordine civile, per cui, tramite il Prefetto di Torino, vengono impartiti i seguenti ordini concernenti la pubblica sicurezza: "Venga osservata la piu scrupolosa circospezione nella spedizione dei certificati di buona condotta; si tenga un registro di detti certificati a cui si possa aver ricorso all'occorrenza; devonsi parimenti descrivere, tanto nel registro, quanta nei certificati, i connotati della persona, onde possa riconoscersi se chi ne sara munito sia veramente colui al Quale il certificato viene accordato; si invigili con attivita ed accuratezza gli individui la cui condotta fara temere che possano nutrire cattive intenzioni e portarsi a perverse azioni. Si metterà il dovere di deviare dal vizio chi può averne intrapreso il sentiero; prevenire i delitti con opportuni avvisi e correzioni; procurare tutte le notizie in genere di delitti, di malviventi, oziosi, vagabondi o dediti al gioco, senza eccezione veruna di persone.
Un oggetto non meno importante per il pubblico e privato bene deve occuparci nella circostanza in cui vari condannati alle galere, fuggiti da Tolone, infestano con brigantaggi le vicine nostre contrade.
Queste, in numero di undici, si trattengono nei contorni. Supposto che loro sia data la caccia dagli abitanti stessi dei luoghi vicini, si rammenta l'obbligo dell'arresto dei notati briganti, in caso che vengano a rifugiarsi nelle terre amministrate; e si avverte che corre l'obbligo di far dare immantinenti campana a martello, ove si sappia che li suddetti si presentino in queste terre, e contemporaneo avvviso all'ufficio del luogo ove li medesimi si trovassero, affinché si possano tra tutti inseguire ed arrestare".
L'interessante manoscritto si conclude con l'augurare "quella tranquillità e buon ordine, che solo si deve attendere dall'obbedienza e buona indole degli abitanti".
Accesso libero.
Pagina aggiornata il 28/10/2024