San Giusto d'altri tempi

Folklore Sangiustese, Dialetto Sangiustese...

Descrizione

FOLKLORE SANGIUSTESE

Qualche accenno al folklore locale, seguendo il corso dell'anno e dei tempi. Capodanno e la festa dei coscritti, delle strenne e fino all'anno scorso dei nuovi Priori di S. Giusto proc1amati senza preavviso degli interessati in chiesa. La festa di S. Antonio e retta da priorata; una volta si usavano benedire in essa, dopo galoppate dimostrative, i cavalli. Ora che abbiamo più cavalieri che cavalli, si usa benedire i trattori e gli autoveicoli allineati sulla piazza della chiesa.
Ricorrono pure a gennaio Ie feste di S. Sebastiano ed Agnese, una volta celebrate con priorate e processioni. Gli ultimi 3 giorni del mese sono detti per il freddo "di dla merla". Nelle stalle di sera si cantavano Ie "Martine", filastrocche intercalate tra giovani di fuori e ragazze da marito entro Ie stalle, finche l'uscio fosse aperto, e i bicchieri sugli scanni. Cia succedeva soprattutto in tempo di Carnevale, quando Ie allegre brigate si mascheravano.
A proposito, a dire della "Sentinella del Canavese" (1), dopo quello di Ivrea e di Chivasso, il terzo dei Carnevali importanti e quello di S. Giusto. "Carnevale senza grandi antiche tradizioni; anche se collegantesi a due vecchie maschere locali (il Tirapere e Gerbolina, investiti di fionda gigantesca e collare di pietre), ha il grande merito, fra l'altro, di avere tenuto viva, di anno in anno, questa festa in un periodo in cui tutti gli altri cedevano Ie armi. Ha, sotto un certo aspetto, preso l'eredità del Carnevale Sangiorgese, un po' ridotto dopo anni di sfolgoranti risultati, tali che l'avevano portato ad essere il più simpatico Carnevale dell'alto Canavese". I Carnevali La festa più popolare rimane quella della Contrada in settembre con parco di divertimenti in piazza Vittorio, gimcana di automobili e trattori e, nel giorno seguente, l'edizione autunnale della fiera. La festa Patronale d'ottobre, a cui partecipa nel 1868 il Bertolotti più volte citato, riscuote per la tarda stagione minor popolaritil, ma in compenso e abbinata a qua1che manifestazione culturale come il premio letterario San Giusto sorto nel 1967, mostre, gare, oltre alla più bella priorata e processione. E concludiamo con il Natale, con la sua caratteristica Messa di mezzanotte; il suono delle nenie diffuso dal campanile vibra per il paese, trasfigurato come un Presepe da luci multicolori!

(1) In data 19-2-1966.

DIALETTO SANGIUSTESE

L'idioma canavesano, se suona un po' rude come Ie pietre dei suoi monti, e in compenso molto espressivo e ricco di vocaboli, di modi proverbiali, di paragoni appropriati, di sinonimi saporiti, ed efficacemente onomatopeico. La parlata sangiustese, pur essendo originale, si avvicina a quelle della parte sinistra dell'Orco "dalla pronuncia piuttosto spiacevole" (1), franco-provenzale, ma senza la caratteristica cantilena. Ha gli infiniti italiani tronchi (es. parlar, lavurar), qualcosa di francese (es.la "in" si dice "en"), di nordico (es.liber= libro si dice "libar"), oltreche di celtico (2). Caratteristici i pronomi personali (mei, tei, cel, cella, nuiet, vuiet, luret o lur), i raddoppi (meiia, tuua, suua). E una pronuncia piuttosto ampia (es. steil a si dice "staila" = stella), larga come l'estensione dei gerbidi, legata ad una condizione prevalentemente rurale; eppure nella sua selvaggia rozzezza e molto ricca di fantasia ed anche di qualche gentilezza, specialmente nellinguaggio delle madri verso i loro piccoli: din din - denaro, toto - cane, babfm - spauracchio. Ecco in quanti modi si puo definire un povero di mente: fabioc, gnoc, pet, taracul, tupin, fasel, bunom, tulipfm, gadan, bagian, gasepiu, ambuttia, ecc. Diversi modi di dire sono collegati, se non proprio originali di S. Giusto: es. "lesne dal Zerb", "far d'lande", "a l'e drit me la Malesna", "Cusele a l'e 'l pais dIe fiie bele, ma a San Giust a na ie per tuit i gust". II proverbio: "San Giust a l'e 'd me gust" si attribuisce addirittura al Card. Delle Lanze; quando egli voleva lodare Ie sue terre diceva: S. Benigno e il mio benigno, Lombardore e il mio amore, Montanaro e il mio più caro, Feletto e il mio diletto; e quando voleva rimproverarli diceva; S. Benigno e il mio maligno, Lombardore e il mio dolore, Montanaro e il mio amaro, Feletto e il mio dispetto. Comunque il dialetto sangiustese tende ad evolversi per il fine settimana, con Ie radiotelediffusioni, ecc. Non bisogna disprezzare il patrimonio linguistico succhiato con il latte materno. Si pensi che in America certi emigrati Sangiustesi continuano ad insegnare ai loro figli il dialetto della madrepatria.
Valla pena fermare l'attenzione sulla ricchezza del nostro dialetto, sulla sbrigliata fantasia e spesso sull'arguzia sottile della nostra gente. Si usano senza sforzo e con grande abbondanza paragoni e confronti tra i più bizzarri. Si accoppiano due cose che neppure il più sapiente di questo mondo sarebbe riuscito ad abbinare. Prese da sole, l'una non ha niente a che fare con l'altra; sono due ordini di concetti assolutamente disparati. Messe insieme, ti sembra di assistere all'accensione di una lampadina elettrica che illumina il discorso di luce semplice ma intensa. E quella luce, buttata li in due battute senza pretese, riesce simpaticissima.
Esempio: "A l'e bianc me la clia dal merlu".
Ecco un curiosa elenco di tali espressioni, che fanno gustare la nostra parlata. Se essa si veste di forme un po' ruvide, grezze e poco eleganti rispetto al gentile idioma italiano, ha in se una ricchezza di sostanza tutt'altro che disprezzabile. Se l'italiano ti fa pensare ad una signorinetta sottile e imbellettata, il dialetto gerbolino da l'idea di un lavoratore calzato di zoccoli, ma dal braccio robusto e dal cuore d'oro.
La lista delle frasi a paragone l'abbiamo raccolta nelle stalle, dalla viva voce di persone anziane, specialmente donne che si dimostrano di memoria più tenace e di fantasia più acuta.
Purtroppo i giovani lasciano svanire questa veste dialettale cosi caratteristica, che pure e preziosa eredita degli antenati, per abbracciare paragoni nuovi offerti dalla più vasta cultura del moderno progresso scientifico, politico e sportivo.
Ma, pur accettando parole nuove, senza dimenticare Ie vecchie, si puo sempre notare la tendenza linguistica dello spirito canavesano, che e eminentemente pratico; raramente si presta alle alte speculazioni teoriche, dove non c'e posto sufficiente per l'immaginativa.
Ora si pensi ad un Tizio, di cui si parla, e si senta cosa si dice di lui:
- A pians 'me 'na vi taia
- A ghigna 'me 'n fol
- A braia 'me n'aquila
- A subbia 'me n'arsignol
- A sauta 'me 'n grii
- A drom 'me na marmota
- A runfa 'me 'n ghiru
- A suffia 'me 'n mantes
- A canta 'me 'n merlu
- A bat 'me 'n magnin
- A cres 'me 'na pera 'n t' namuraia - A gira 'me 'n vindul
- A spusa 'me 'n agnaI
- A Ius 'me 'na steila
- A cur 'me '1 vent
- A va 'me 'na barca 'n t'n busch
- A va 'me 'na spia
- A tira 'me 'n mul
- A bei 'me 'n bo, 'me 'na surba
- A mangia 'me 'na struss, 'me n'urs
- A fuma 'me 'n fumel, 'me 'n turch
- A travaia, 'me 'n dana
- A giuva 'me 'n daspra
- A parla 'me n'om (detto di bambino), 'me n'avucat, 'me 'n liber stampa (detto di uomo) - A l'ha l'aptit da sunadur
- A l'ha 'na lengua da straser
- A l'ha 'n cor da tigre
- A l'ha 'na cera da sasin
- A l'ha 'n bech ca val dui sold
- A l'ha 'n curpet da mila lire
- A l'ha 'na vus da crava, d'angel
- A l'ha d'iurie da parafanghi
- A l'ha 'na testa da cusat

(1) Cfr. A. Bertolotti, tomo II, pag. 58.
(2) Ecco alcune voci dialettali derivanti dallinguaggio celtico: "brik-poggio, braie-calzoni, galoches-calzature di legno (lat. gallicae), crota-cantina, drii-fertile, driigia-letame, crin-suino, verna-ontano, uris-pioggia torrenziale". (Cfr. P. Savi Lopez in "Origini neolatine e preromane", Hoepli).

DALL'AMERICA: VOCE D'ALTRI TEMPI LOS ANGELES, 21 novembre 1964

Carissimo Direttore del "TlRAPERE", scrivo queste poche righe per dirti che ho ricevuto dalla mia nipote Nigra Martina in Pastore, il TIRAPERE. Dico che mi fa molto piacere a leggere questo TlRAPERE, perche ci sono tante cose belle che mi fanno ricordare la mia gioventu. lo ho fatto la mia parte a tirar pietre, quando venivo a casa da scuola. I figli andavano a scuola da Don Pugno e Ie figlie andavano Ii vicino alla contrada: c'era una camera sotto e un'altra sopra. Alle ore quattro si usciva da scuola e incontravamo i figli. Noi, con la borsa con i libri dentro, facevamo voltare questa borsa in giro, e dicevamo: "Sotto, chi la vuole?". Loro si sedevano su un mucchio di pietre e poi tiravano e correvano dietro a noi altre. Noi gridavamo: "Gambe, salvateci!". E correvamo come uccelli. Eravamo proprio "TIRA PERE DAL ZERB". Sento adesso che tutto va meglio: c'e la festa della contrada, la luce elettrica, il bogo, e vanno alle ferie.
Nella mia gioventu c'era niente, solo la festa di San Giusto, e pioveva quasi sempre. E poi la fiera due volte all'anno. Per il ballo dovevamo andare a S. Giorgio. Da una parte o dall'altra c'era il ballo a palchetto; ma venivamo a casa quando il sole andava sotto, se no la mamma non ci lasciava andare un'altra volta. Mi ricordo di Giors Gamogna, Carlu Castlan, Tone Minela, Carlin Fransina, Toni Maras, Stevu Zanin. Sono tanto contenta che il TlRAPERE fa progresso, e la Casa di Riposo.
Quello e bello per i vecchio Le scuole Ie ha fatte mio fratello Nigra Domenico: per soprannome ci chiamavano i Neiru. Carlo De Marchi, mi devi scusare il mio mal scritto, perche nel mio tempo non c'era tanta scuola. Sono andata all'asilo e con nove anni ho finito la scuola. Non ho finito la terza, non so nemmeno. Quel tempo andavamo al catechismo presto alla mattina. Era ancora notte e noi altre prendevamo un bastone, gli legavamo della paglia attomo e lo chiamavano la torcia. Avevamo paura di passare davanti al camposanto. Quella era la nostra luce elettrica. lo abitavo nel Cantun Petrin. Mio padre ha fatto quella palazzina dove adesso vive Rosin Foja: la chiamavamo Castel Merlin. Dopo mi sono sposata e sono andata a S. Carlu. Adesso non c'e nemmeno pili. Sono venuta in America nel 1907, un anno dopo sposata, e sono tornata nel 1928, dopo 22 anni che mancavo. Ma quel tempo non era tanto bello; non si sentivano più quei bei canti: tutti zitti. Adesso sento tutte Ie comodita; tutto cambia e tutto in meglio. Mi piacerebbe vedere il nostro bel paese "tirapere"; ma son troppo vecchia. Mai lo dimentico e ricordo tutti i miei parenti, amici, ed anche il nostro prevosto Don Scapino che fa tanto per il nostro paese. Carlo De Marchi, mando due scudi per l'abbonamento al TIRAPERE; spero che me lo mandi, perche mai dimentico il bel tempo della mia gioventù. Sono venuta via con 20 anni; adesso ne ho 78, ma sempre mi ricordo che da piccolina andavo all'asilo a giocare, cantare, recitar poesie. lo c'ero sempre in tutto. Mi ricordo che sono andata ad aspettare Don Leydi, prevosto, vicino al "palazzo", a recitar la poesia con il grembiulino bianco. Nel 1928 ho avuto l'onore di conoscere Don Scotti; mi piacerebbe ancora conoscere Don Scapino, ma è troppo tardi...
NIGRA TERESA IN VERCELLI (California)

UN TIRAPERE SENZA RIVALI

Dopo la guerra del 1915-18, la carenza del lavoro e la grande miseria che in quel tempo c'era, induceva chi era di famiglia numerosa, ad espatriare, chi in Francia, altri in America, onde cercare lavoro e miglior fortuna. Molti la trovarono, altri forse no; cosi, dopo qualche anno, i più fortunati ritornavano per stabilirsi definitivamente a S. Giusto, dopo essersi comprato casa e terreni e preso moglie; altri invece si fermavano un breve periodo e, dopo aver riabbracciato i famigliari, ripartivano portandosi con se il fratello minore o qualche amico, on de anche lui avesse la stessa sorte. E fu proprio uno di questi Sangiustesi che, dopo aver fatto ritorno dalla Francia, un giorno, mentre si intratteneva con i propri compaesani in Piazza, prese parte a una sfida alquanto singolare. Chissa a chi e come fosse venuta in mente simile sfida, certo era questa l'abituale abilita che i giovani di quel tempo sfoderavano fra di loro, onde dimostrare chi era il più bravo a lanciare il più lantana possibile Ie pietre, che allora popolavano Ie strade, per raggiungere un bersaglio stabilito.
Non per nulla i Sangiustesi furono soprannominati "I TIRAPERE DEL ZERB".
Cosi, dopo essersi muniti tutti quanti di pietre a forma di piattello, fissavano che il bersaglio consisteva nel varcare la croce che stava sulla sommita del campanile della Chiesa Parrocchiale. Certo l'impresa non era facile, poiche l'estrema punta della croce sulla torre campanaria raggiungeva la bellezza di 45 metri di altezza. Molti ci provarono e con grandi sforzi raggiungevano quote eccellenti, ma alla punta nessuno arrivava. Prova pure l'amico venuto dalla Francia e, con lo stupore di tutti, attraversa perfettamente la cima e, quando la pietra cadde dall'altra parte del gerbido, che allora attorniava la Chiesa, rimasero tutti senza fiato.
Com'era possibile tanta bravura, non si sa; quello che e certo, molti altri ci provarono e nessuno più riusci a battere il record stabilito in quel lontano giorno, da un atleta che nessuno premia con medaglie d'oro e tanto meno nomina nelle enciclopedie.
Questi erano i figli cui SAN GIUSTO si sentiva orgoglioso di aver dato i natali, come a tanti altri ancora, di cui l'incuria di molti non trasmise Ie vicende o, per meglio dire, Ie prodezze compiute interra natia o in lontani paesi del mondo.

UNA CAPRA, UN BANCHETTO, UN SANTO PATRONO

Un'altra usanza della cui scomparsa ognuno di noi quasi non si e accorto, e forse quella per la ricorrenza della festa patronale di S. Giusto martire, che ogni anno si svolge in ottobre. Nessuno forse si e accorto della scomparsa di una vecchia usanza che faceva capo a quelIe tradizioni in uso specie nelle famiglie numerose: la "capra", che veniva immolata per il pranzo della festa.
Si puo dire che quest'animale, malgrado la carne poco tenera, veniva ugualmente cucinato in vari modi, sia al forno, che in umido.
Naturalmente i pranzi, per quella ricorrenza, venivano svolti totalmente in casa, dopo che Ie famiglie si erano radunate al gran completo. Non si comprava quasi nulla, dal pane fatto in casa, al vino, frutta e verdura, formaggi ecc... Le condizioni economiche erano per tutti assai critiche, ma, nonostante tutto, vi regnava un'armonia che oggi e difficile riscontrare; ogni componente sentiva grande rispetto verso i nonni, che comunemente si chiamavano "I Vei!".
Da questi si attingevano tutte Ie conoscenze e i segreti del mondo contadino, dalle semine nei giusti periodi, alle lune per il taglio del legname onde evitare i tarli; il modo di assistere al parto delle mucche, come fare del buon vino dopo aver fatto una potatura prestabilita, ecc.
All'allevamento del bestiame, specie dei vitelli da ingrasso.
Vi erano pure quelli che avevano l'ambizione dei buoi; in prevalenza erano quelle famiglie che disponevano di grandi cascinali.
Era una vita fatta di lavoro, fatiche senza limiti, con risultati spesso mediocri, più volte era il tempo (gelo o grandinate) a danneggiare gli interi racco1ti; eppure la volonta, la pazienza e soprattutto la tenacia di questa gente era ammirevole, non si sentiva mai sopraffatta e vinta.
Ogni giorno scendeva in campo, sempre pronta a combattere e vincere. Malgrado la battaglia fosse dura, i risultati giungevano; cosi, alla festa del patrono S. Giusto, tutti i componenti tiravano Ie somme dell'annata e ognuno durante il pranzo raccontava Ie proprie avventure.
Erano momenti impagabili che Ie famiglie patriarcali di allora vivevano come una vera e autentica comunita.

UN MACISTE AL TIRO DELLA FUNE

Nel periodo fascista il sabato era dedicato alo sport e alla preparazione ginnica di ogni singolo gruppo fascista.
E più volte nell'anno si svolgevano gare sportive di ogni genere.
Infatti in una di queste manifestazioni accadde un fatto curioso.
In quella circostanza venne comunicato che si sarebbe svolta una gara di tiro alla fune, tra un gruppo locale e un gruppo venuto dalla Francia.
In paese vi fu molto interesse alla competizione, ma l'interesse colpi di più un tale che tutti conoscevano; di nome era chiamato "TONE TUTELA", un uomo la cui statura e forza erano impareggiabili.
Giunto che fu in piazza col sigaro in bocca e Ie dita infilate nel giubbotto, dopo aver assistito a qualche sfida iniziale tra i gruppi, chiese se vi fosse possibilita di partecipare. Fu subito accontentato, ma gli fecero notare che avrebbe avuto dall'altra parte dieci avversari; lui si disse d'accordo. Questa sfida paralizzo il programma in corso e tutti si fecero attorno un po' scettici sul risultato della contesa.
Lo sfidante per niente intimorito, con la fune attorcigliata al grande e nerboruto braccio, fece con lo scarpone una buca nel terreno e vi affondo il tallone (questo per non scivolare sull'erba).
Dall'altra parte i dieci sfidanti si davano gia arie da vincitori, assistevano a quei preparativi; quando tutti furono pronti, il giudice di gara diede il via, la corda era tesa al massimo e nessuno dava segno di vittoria; allora "TONE" con tutta tranquillita esclamò: Forza, giovanotti, che io sono come un platano; su, decidetevi, altrimenti mi decido io! Visto che, malgrado gli sforzi, i dieci non ce la facevano, con un deciso colpo mando tutti a gambe all'aria.
Tutta la gente rimase a bocca aperta; nessuno si sarebbe mai immaginato tale risultato.
La popolazione portò in trionfo il vincitore che, per nulla scomposto, raccolto il giubbotto sull'erba, se ne andò per niente turbato della vittoria.
Piuttosto i capi del Fascio locale non furono troppo soddisfatti e, con grande saggezza, conclusero la manifestazione, a causa dell'imprevisto risultato.
Chi fu presente alla sfida si senti orgoglioso che in San Giusto vi fossero persone di simile levatura, tanto da fare invidia a quanti allora si dedicavano allo sport.

IL PALlO DEI QUARTI (di vino)

In tempo di carnevale si studiano i vari modi di creare giochi, scherzi, gare, ecc...
Quella che fra tutti ha sempre avuto successo e ha sempre divertito e la corsa cosiddetta dei "Quarti di vino". Chi ne fosse l'inventore non e dato a conoscere, però sta di fatto che i concorrenti erano sempre molti.
La cosa era improntata in questo modo.
Le osterie del paese, tutte quante d'accordo a prendere parte; il numero di queste era sempre di 5, o 6 in tutto e ognuna di queste sulla porta d'ingresso poneva un tavolo con tanti quarti di vino, quanti erano i concorrenti. La partenza veniva data dall'organizzatore del Carnevale, mentre un'apposita giuria seguiva i partecipanti durante il percorso. Ognuno di loro aveva l'obbligo ad ogni osteria di fare tappa bevendosi il quarto di vino, dopo di che doveva riprendere la corsa, per fare sosta alla prossima e cosi via. Il giro veniva ripetuto più volte, ma purtroppo ad ogni passaggio la giuria riscontrava l'assenza di qualche concorrente. Anche i più accaniti bevitori, malgrado enormi sforzi, giungevano barcollando e quando con mano tremante cercavano di assorbire il vino, più volte, anziche scendere nello stomaco, quello usciva dal naso.
Peccato che nessuno appassionato di fotografia abbia immortalato questi momenti della competizione; oggi si avrebbe una documentazione impareggiabile. Chi si sente oggi in grado di ripetere simili primati?...
Quello che e certo, al posta del vino i giovani di adesso scolerebbero Ie lattine della coca-cola. Quale differenza!...
I primi risolverebbero il gioco con una sbronza formidabile, mentre i secondi con una forte indigestione che Ii costringerebbe sicuramente a letto.
Più che corsa dei quarti, sarebbe più opportuno chiamarlo: II Palio dei Figli di Bacco.

IL "TRAVE" OVVERO IL TIPICO RITROVO SERALE

Difficilmente oggi si possono scorgere davanti alle case che fiancheggiano Ie strade del paese quei tronchi d'albero che venivano deposti affinche nei pomeriggi estivi, e particolarmente ogni sera, i1 rione si radunasse e potesse sedere dopo una giornata di lavoro nei campi, per poter scambiare quattro parole con i vicini. Vi era pure chi aveva abitudine, con la scodella o il piatto in mano, di venire a consumare i1 pasto, seduto sul trave in fondo al vicolo.
Quest'usanza molti la ricordano ancora e, diciamolo pure con sincerita, questo ritrovo semplice ed economico offriva più calore e gioia fra tutti, ci faceva sentire tutti uguali e tutti amici, in quella pace serale che soltanto la gente semplice sapeva gustare,-come una rugiada benefica che scendeva in tutti.
Oggi invece la gioventù preferisce scendere in piazza con una rumorosa mota o la fuori serie, sedere ai tavoli di un bar, scolare il whisky e coca e iniettarsi droga spendendo denaro e stordirsi all'alto volume di un juke-boxe.
Tutto e molto cambiato; davanti alle case, dove un tempo la gente si sedeva a conversare, sono invece parcheggiate Ie auto che ognuno possiede; tutti stanno in casa, non si esce più, si sta passivamente davanti alla TV.
Non siamo più capaci a conversare, non abbiamo più nulla da dirci, si cercano amicizie che poi finiscono quasi subito perche non ci si sente paghi ormai di nulla.
Cari momenti trascorsi serenamente suI trave, perche non tornate più?
O dolcissima oasi di pace, quanto ci manchi oggi!..

SFIDA CANORA FRA I CANTONI

Quando nel paese di SAN GIUSTO Ie costruzioni del centro abitato non ostruivano la vista attraverso i gerbidi, si potevano scorgere i cosiddetti "Cantoni".
II cantone Berchetto a nord, il cantone Ozzello a nord ovest, il cantone Tana a ovest, la Garimonda e Molino a sud-ovest, Sottocosta e Malpiardo a levante e il Grametto ai piedi delle case alla sommita chiamata "il Brik".
Sulla piazza poche case attorniavano la Chiesa, quindi la visuale era eccezionale. Oggi i famosi "gerbidi" rimangono solo nella memoria di pochi, ogni lotto di terreno e state occupato da case e nuove ville, che io voglio definire, senza ironia, autentiche prigioni dorate.
E vivo ancora il ricordo di come la popolazione di S. GIUSTO, nei vari periodi dell'anno, cioe d'estate e quando si spannocchiava il granoturco, giunta che era la sera, la gente si sedeva sui travi e sull'erba o sulle sponde dei fossi che fiancheggiavano Ie strade e si dava il via a dei veri e autentici cori misti. Sia Ie donne che gli uomini, possedevano voci possenti e intonate; Ie canzoni che si cantavano richiamavano alla memoria la partenza dell'innamorato alla guerra, l'addio alla propria Patria che lasciava, oppure all'uomo che non faceva più ritorno dalla miniera e cosi via; ma e garantito che l'esecuzione era fatta con il dovuto trasporto che spesso raggiungeva attimi di commozione.
Ma quello che più incuriosiva era che tutti i vari cori sparsi nei cantoni zittivano e ascoltavano con attenzione la canzone del gruppo che aveva iniziato per primo e, quando questi aveva finito, un altro cantone attaccava, cercando di superare il precedente, sia con una difficile canzone, sia per la potenza delle voci: insomma era una vera e autentica sfida canora che si prolungava fino a tarda sera.
Per lo spazio vuoto che allora vi era nel centro, nel silenzio della notte, i canti assumevano l'aspetto di veri e autentici concerti canori; oggi Ii definiremmo un "Festival della Canzone" con una nota di folklore locale.
Purtroppo il sopraggiungere della guerra 1940-45 non fece altro che cancellare l'allegria e lo spirito che affratellava questa gente.
Tante cose cambiarono, non si era più come prima, molti non fecero più ritorno; questa popolazione, un tempo cosi can ora, tacque, non fu più capace di riprendere. Fini un periodo o, per meglio dire, si concluse una tradizione che si tramandava da tempo immemorabile.
Oggi i cantoni sono rimasti, ma nuove case hanno cancellato completamente la visibilita fra cantoni; la gente di sera non sosta quasi più in fondo ai viali, e troppo indaffarata; come si usa dire, vive a tempo pieno, ma non si accorge che, mentre si arricchisce nelle tasche, si impoverisce di quella serenita e di quella pace interiore di cui ogni essere umana non puo sentirsi privo e, quando questo squilibrio viene creato dall'egoismo dell'uomo, i risultati diventano sempre più tragici.

CARO SPEAKER DOMENICALE, DOVE SEI OGGI?

Sempre fra Ie cose originali, anche il personaggio che ogni domenica attendeva la popolazione all'uscita dalla Chiesa dopo la prima messa, e scomparso. Si e perso un altro modo caratteristico di annunciare ai cittadini Ie novita stabilite dal Comune, oppure il decesso per disgrazia di qualche bovino il cui proprietario effettuava la vendita a pezzi.
Si dichiaravano aperti gli incanti di vendita dei lotti di legname, oppure l'appalto dei fossi per l'irrigazione dei campi circostanti.
II personaggio dello "speaker" era impersonato dal "Messo Comunale", che in divisa ufficiale, con un tamburo a tracolla, effettuava una forte rullata onde richiamare anche i più distratti all'attenzione e procedeva cosi alla lettura degli annunci economici, senza porre tariffa per parola.
Era una forma alquanto aggressiva per effettuare la pubblicita.
Era sicuramente il miglior giornale, o addirittura la più valida "radio libera", per conoscere gli avvenimenti più importanti del momento. L'uItimo ad avere svoIto questo incarico di banditore e stato il compianto Domenico Zanotto, il solo forse che per bravura riscuoteva l'ennessimo applauso, al termine di ogni annuncio.

QUANDO LE DONNE ANDAVANO ALLA CHIESA CON LA PANCHINA SOTTOBRACCIO

Un'usanza, che ormai e scomparsa, e quella della piccola panchetta che Ie donne si portavano appresso andando alla chiesa.
Questo tipo di panca era fatto in modo quanta mai singolare; infatti i banchi della chiesa in quel tempo erano stati eseguiti con un'apposita fessura, che consentiva di infilare da ambo i fianchi, all'altezza del sedile, l'estremita della panche che Ie donne si portavano da casa.Tutto questo era dovuto unicamente al fatto che i banchi non erano sufficienti per consentire a tutti di sedere. La popolazione in quel tempo si faceva dovere di assistere a ogni funzione religiosa, tanto che la chiesa era sempre gremita. Oggi questo purtroppo non si verifica piu. Si trova sempre posta in qualunque cerimonia; della piccola panchina che Ie donne si portavano appresso, si e perso ormai il ricordo.

IL MONTONE SFASCIATUTTO

Nel mondo contadino c'e una tradizione che si puo definire importante della stagione: "La Fiera". Solo in queste occasioni si scoprono i personaggi piu singolari; infatti si ritrovano tutti durante Ie fiere di primavera, per scambiarsi idee, esporre i propri prodotti, vantarsi delle proprie bravure nell'allevare il bestiame e coltivare la terra e infine forse riuscire a farIa in barba a tutti vincendo il premio messo in palio dal Comune. Se ci fate caso, sono li attenti, con Ie dita affondate nei taschini del giubbotto, ad esaminare l'esemplare per scoprire qualche difetto e farlo notare di fronte agli altri, on de dimostrare che in fondo loro non sono gente qualunque, ma dei sicuri intenditori, competenti in materia. II verdetto emesso non deve sub ire contrasti, altrimenti ne nascono delle vere accese dispute, poiche la loro incontrastata esperienza si tramanda da generazioni. Vi sono poi i "sensali", personaggi di dubbia e discutibile serieta; questi si intrufolano in mille modi, pur di accaparrarsi il contratto fra venditore e acquirente. La tattica che viene usata e tale che varrebbe la pena di ascoltarla da vicino. Alle parole fanno seguito Ie promesse, strette di mano, strizzate d'occhio, prima all'uno e poi all'altro contendente e solo chi sta al di fuori scorge queste forme imbroglione escogitate dal sensale. E quando la conclusione tarda ad arrivare e la bravura del sensale a fare colli mare Ie differenze fra i due suI prezzo. Questo prende in disparte prima uno, poi l'altro, con manovre che si definiscono "O la va, o la spacca". Piuttosto (dice lui) ci rimetto io, ma un affare cosi buono non e cosa da lasciarsi sfuggire. Alla fine l'affare si fa e mentre tutti e tre si stringono Ie mani, l'oste dal fiuto intuitivo prepara Ie caraffe del brindisi a soddisfazione loro (ma a vantaggio del borsello suo). Fu in una circostanza simile, che si verifico un episodio degno di essere narrato ancora oggi. Alla fiera un giorno scese un tale (il cui nome non si deve menzionare onde evitarne Ie ire) deciso di comprarsi un bell'esemplare di montone per la riproduzione del suo gregge. Giunto che fu, in tutto il territorio della fiera, non riusci a trovarne uno, quando suI mezzogiorno, ormai deciso di fare ritorno, scorge da lontano un tale che stava arrivando con un grosso montone e due pecore piccole. Non perse tempo, si avvicino e ce la mise tutta a trattare l'affare; l'accordo fu raggiunto e, tutto soddisfatto, presento agli amici l'acquisto. Naturalmente gli amici ne approfittarono per farsi pagare da bere secondo l'usanza; lui, felice dell'affare, non esito per nulla nell'offrire e, senza staccarsi minimamente dall'animale, se lo portò con se nell'interno della bettola. I banconi delle piole a quel tempo erano foderati all'esterno da enormi specchi e l'oste, vedendo dunque arrivare questi, subito si precipito a preparare i bicchieri e la caraffa del vino. Tutti si facevano attorno e ammiravano la bellezza del montone e facevano udire Ie loro impressioni onde mai questi offrisse un bicchiere pure a loro. Nel momenta più bello, quando tutti brindavano felici, un enorme fragore mozzo a meta il vino in gola ai presenti; che era successo? Il montone che il proprietario teneva per il lungo cordino, dopo aver visto sullo specchio il proprio muso, pensando fosse un altro avversario, indietreggio, prese la rincorsa e con una enorme testata colpi l'avversario sullo specchio.
Il colpo produsse un tale rumore di vetri e bottiglie in frantumi, che nessuno dei presenti avrebbe immaginato. Come rimase il proprietario dell'animale e presumibile; l'oste, dopo essersi riavuto, constatato il danno, presento il conto al distruttore; questi manco poco non svenisse, pago in fretta e, presosi l'animale, in gran fretta rincaso, gia prevedendo Ie ire della moglie per la bravata compiuta dal montone battagliero e per la poca accortezza del suo padrone.

CURIOSITA' DI FESTE POPOLARI

Nel ritmo affannoso della vita odierna, puo costituire una parentesi di serenita, ricordare il modo o i modi coi quali i nostri antenati riuscivano a superare Ie difficolta e Ie miserie contingenti e a divertirsi in epoche grame e travagliate, quali difficilmente possiamo oggi immaginare.
Tra le più tipiche e originali feste, assai in voga a quel tempo, ve n'era una molto interessante, ormai del tutto dimenticata. Ecco di che si trattava: un cora di giovanotti, tal ora provvisti di fisarmonica, si raccoglieva davanti alla porta di una stalla dove, nelle sere invernali, si riunivano varie ragazze da marito. La presenza dei giovanotti si annunziava con una tradizionale canzone che iniziava con un saluto (Bona seira, filoIre) intercalato da un ritornello (e poi tra-lari lalena e poi tra-larilala).
Dall'interno Ie ragazze rispondevano suI medesimo tono. A base di domande e di risposte i giovanotti rivelavano di voler essere ricevuti. Ma non sempre la porta si apriva subito. Allora quei di fuori, sempre cantando, pregavano di preparare gli scranni, i bicchieri e tutto quello che a loro veniva in mente. Di dentro rispondevano in rima e cantando che tutto era pronto ma... la porta non si apriva. La gara aveva termine quando o quei di fuori o quelle di dentro zittivano o perdevano il filo del canto e allora cedeva ogni resistenza e la barriera veniva aperta. Spesso la vicenda non terminava cosi pacificamente. Talvolta capitava che i giovanotti canori fossero preceduti da incauti rivali. Allora gli ultimi arrivati pestavano rumorosamente i piedi, chiaro invito per i primi di prendere il largo. Se la ritirata non avveniva alla svelta e secondo la richiesta etichetta, erano seri litigi, terminanti spesso in baruffe.
Queste feste, assai originali, erano chiamate "Martine" e di solito duravano tutto il periodo del Carnevale. Oramai è acqua passata e quest'usanza non fa piu parte delle feste folkloristiche sangiustesi.

LE SIMPATICHE LAVANDAIE DI SAN GIUSTO

L'evoluzione moderna sta
compiendo o meglio compira in un futuro assai prossimo grandi passi in questo
paese e nonostante cio nulla potra impedire di conservare nel tempo, seppure
minimamente, parte degli aspetti più tipici dell'antico mondo prettamente
canavesano. In questi ultimi tempi Ie case si sono moltiplicate e i "cantoni"
sono diventati più numerosi ma certe caratteristiche rimangono immutate.
Si
ammirano qui non strade, ne tanto meno viuzze strette e buie come in altri
borghi vicini, ma ampi viali ombreggiati da acacie, platani e olmi che portano
al grande spiazzo centrale ove sorge la chiesa. Le case, disseminate fra distese
erbose, sono circondate da spaziose aie, giardini e frutteti. Ma per San Giusto
ci sara sempre un particolare inconfondibile che rimarra intatto. L'originalita
la si scopre subito attraverso i numerosi canaletti che si ramificano per ogni
dove, e lungo i quali da mane a sera giovani e allegre lavandaie sciacquano i
panni e si scambiano vicendevolmente Ie quotidiane notizie. Sono immagini queste
che racchiudono in se tutto il fascino di un lontano passato che sembra
destinato a non conoscere il tramonto.

LA STORIA DEL PILONE DEL BRIK

Percorrendo la strada che da S. Giusto porta sino a Caluso e facile scorgere alla sinistra del nuovo Casello dell'Autostrada, una piccola cappellina. Essa e posta alla sommita di una breve altura circondata da vigneti, e denominata anticamente il Brik del Castelletto.
La storia e Ie origini di questa cappella meritano di essere raccontate. Molti anni fa sorgeva in questo luogo una cascina ed annessa a questa vi era una cappellina. Quando una cinquantina di anni fa il Cav. Gromis, proprietario della cascina, vendette la proprieta, cascina e cappella vennero demolite. Comincio pero subito a verificarsi un fatto strano: la grandine prese ad accanirsi contro il Brik del Castelletto e a distruggere ogni anno i raccolti.
Quelli erano tempi di fede viva ed i proprietari di quelle terre pensarono che la Madonna non fosse contenta che la sua chiesetta fosse stata demolita.
Di comune accordo costruirono in quel luogo un bel pilone e checche ne pensino gli increduli, il fatto e che dopo la costruzione del pilone cesso il flagello o almeno quella regione non fu più bersagliata come prima dalla grandine.
Per la costruzione della nuova autostrada Torino-Ivrea si rese necessario l'esproprio di molte terre e anche il terreno dove sorgeva il pilone venne espropriato e ancora una volta cosi demolito. I nostri tempi non sono più tempi di gran fede e molti non fecero caso al fatto. Ma cio non accadde per la famiglia Bartolomeo lano che non scordo quanta fecero i loro vecchi in passato e cosi rivoltosi alla direzione dell' ATIVA ottenne la ricostruzione della nuova cappella. L'lmpresa provvide alla costruzione in muratura e l'interessato penso all'acquisto della bella statua della Vergine Ausiliatrice che venne poi consacrata.
Cosi la nuova cappella a quanti transitano sull'autostrada e richiamo ad un pensiero di fede e nella stesso tempo sorge a salvaguardia delle terre dai flagelli delle intemperie.

MINOT TIPICO RAPPRESENTANTE DEL FOLKLORE DI S. GIUSTO

"Minot", al secolo Domenico Tapparo, fu certamente uno dei più simpatici e cordiali personaggi di S. Giusto, dopo aver rallegrato per mezzo secolo l'intero Canavese e fatto ballare tre generazioni con la sua fisarmonica magica.
Nella sua abitazione in Via Cappo, egli amo avviare i giovani cuI tori alla bella arte musicale, col tocco della sua spontaneita e passione.
Questo personaggio sempre allegro, con la sua gagliarda figura, ha saputo dare una spinta al risveglio folkloristico locale.
Attraverso la varieta delle sue tipiche esecuzioni e insieme al brioso stile delle sue ballate che hanno fatto epoca, ritroviamo ancora una delle più tradizionali danze canavesane "La currenta". Questa "currenta" e una danza che a S. Giusto si era soliti eseguire nella festa patronale, poiche costituiva un vero e proprio spettacolo. Infatti si svolgeva in questo modo; una coppia di ballerini eseguivano questa curiosa e caratteristica danza, accompagnati dal suono di una fisarmonica: a un determinato momento il cavaliere dopo aver lanciato in aria la dama, compiva con un ginocchio a terra tre giri attorno alla dama, mentre questa rimaneva seria e ritta in piedi seguita dallo sguardo dell'intera popolazione che seguiva con interesse l'esibizione.
E Minot in campo folkloristico fu un vero pioniere: Quante peripezie racconta che gli accaddero nelle feste sui balli a palchetto e nella sua lunga carriera di vagabondaggio artistico, Quante belle soddisfazioni ha saputo raccogliere! I molti amici ora emigrati in Francia e in America, lo ricordano spesso.
In una registrazione ha narrato Ie allegre vicende accadute con i suoi compagni d'orchestra e ha eseguito con la fisarmonica un repertorio di musica del felice tempo ormai lontano, intendendo far giungere questa gradita sorpresa ai suoi indimenticabili amici residenti all'estero, a ricordo della loro lontana giovinezza e soprattutto del caro paese natio.

NOSTALGIA DEL FOCOLARE

Quanti ricordi, per i giovani che hanno avuto la fortuna di essere allevati - od almeno di trascorrere qualche periodo della loro prima eta - in una casa di campagna, sono legati alla fiamma del camino!
Seduti a cerchio intorno alla fiamma scoppiettante, viva, a seguire con lo sguardo Ie faville che salgono nella cappa nera, "monachine" e fuliggine da cui i vecchi dicevano di poter trarre Ie previsioni suI tempo di domani, suI raccolto del grano, sui lutti e sulle gioie della famiglia.
Intorno alla fiamma, specie quando su di essa erano poste a cuocere Ie saporite castagne, la famiglia si ritrovava tutta, si sentiva unita... ed i giovani ascoltavano Ie fiabe che la nonna raccontava ad una nidiata di nipotini, o Ie immancabili avventure di guerra del nonno, o Ie vecchie storie, Ie leggende del paese.
Soprattutto nell'autunno il camino era il centro della vita della famiglia, la palestra e la scuola cui i giovani attingevano l'esperienza degli adulti, l'occasione per un attimo di riflessione, per fare i1 bilancio della stagione trascorsa ed i progetti per quella ventura.
Ora anche nella casa di campagna il camino va lentamente scomparendo: e la dove ancora permane, addio care riunioni intorno alla fiamma, tutta la famiglia unita, i nonni, i padri, i nipoti... Scomparse Ie famiglie numerose, ormai lontani quasi tutti i giovani; a gustare il tepore della fiamma viva, a seguire Ie monachine e la fuliggine sono rimasti solo i vecchi, che non sanno più a chi raccontare Ie fiabe, Ie leggende, Ie avventure, vere o sognate, della guerra.
Nella citta, intanto, i giovani lavorano, dimenticano la vita tranquilla, serena piena di mille triboli ma anche di mille soddisfazioni, della campagna abbandonata; vivono meglio e neppure si accorgono che, in fondo, manca alla loro felicita qualche cosa.
I più fortunati, dopo tanti anni di lavoro, avranno una bella casa, una casa che sara completa; avra anche il camino, a ricordare quello abbandonato tanti anni prima nella vecchia casa di campagna. Ma sara un camino lindo, pulito, senza l'esposizione delle padelle di rame lucente, senza il piatto vecchio, la rumorosa sveglia, il mestolo, senza gli attrezzi della campagna lasciati Ii vicini, per venire più presto a godere della fiamma insieme al resto della famiglia. E sara soprattuto un camino senza Ie belle fiabe dei nonni, senza il profumo del pane fatto in casa... senza il sapore delle buone cose antiche che andiamo, adagio adagio, dimenticando.

NELLE CAMPAGNE IL TRATTORE SOSTITUISCE IL CAVALLO

Questo ridente e caratteristico borgo canavesano ha conservato finora quello che e il suo aspetto più tipico; cioe la vastita dell'orizzonte e la grande distesa di verde attorno a ogni casa. Si e detto che S. Giusto e un po' il "giardino del Canavese", e la definizione non pare esagerata, anche se qui i giardini pubblici sono in minima parte. La popolazione e praticamente stazionaria numericamente, anche se l'economia prevalentemente agricola di a1cuni decenni fa va trasformandosi in direzione commerciale e industriale.
Ma gli agricoltori che rimangono fedeli alla terra sono ancora molti, anche fra i giovani: e una vita dura, ma sana, un lavoro che rende per quello che richiede.
Anche a S. Giusto e in corso la grande trasformazione agricola che potra sollevare il mondo rurale; dall'abbandono di metodi tradizionali e superati si potranno ottenere risultati veramente positivi. Che questa trasformazione sia in atto appare evidente solo che si osservino Ie campagne circostanti S. Giusto. Ancora pochi anni fa erano sparse di cavalli al lavoro dal mattino alla sera. Oggi i cavalli sono pochi, al loro posto rumoreggiano grossi e veloci trattori che compiono in breve tempo il lavoro massacrante di una volta. Naturalmente, la trasformazione e lungi dall'essere terminata, ma e evidente che essa sta procedendo a grandi passi, pur se attraverso Ie difficolta economiche in cui si dibatte tutta l'agricoltura italiana. I giovani di S. Giusto non hanno abbandonato in massa la campagna; sono ad essa legati da una tradizione antica quasi commovente; amano la vita sana all'aria aperta, libera. Cosi gia i loro antenati costruirono Ie case del paese circondate da tanto verde come isole in un mare di pace; cosi essi vogliono vivere lavorando senza risparmio con la fiducia che la loro tenacia venga alla fine premiata. Rapido, potente, fragoroso passa il trattore suI terreno, lo ara, lo capovolge, lo rende adatto a ricevere il seme: tutto in breve tempo, perchè anche il lavoro dell'agricoltore, fino a poco tempo fa tipicamente patriarcale, si va industrializzando ed ha fretta come ogni attivita umana. Ma qua e la, ricordi di un tempo che pare ormai lontano e che invece e appena di ieri, resistono i vecchi contadini, che guidano i placidi buoi nel lavoro dei campi: ed ancora gli aratri ormai vecchi di secoli con la bure di legno pesante da tenere con ambedue Ie mani, solcano la terra, poco profondamente, quasi a non volerne sfruttare tutta la riposta fertilita, a volerne conservare un po' anche per Ie generazioni future.
Sono visioni che scompaiono: ormai solo pochi hanno ancora l'abilita, ed insieme la forza, per guidare il pesante aratro reggendosi in equilibrio nel solco appena tracciato. La tecnica condanna questi tenaci tradizionalisti della nostra campagna, l'economia non Ii puo giustificare, la ragione stessa non riesce a trovare un perchè.
Ma il cuore e con loro, con gli ultimi poeti-contadini che, pensiamo, trovano ancora il tempo per fermarsi all'ombra di un albero ad ascoltare il canto di un uccello e, come nelle pitture romantiche, si fermano un attimo, in raccoglimento, quando il campanile suona l' Ave Maria.

LE CONFRATERNITE

La Chiesa, oltre che favorire l'unita spirituale dei Sangiustesi, ispiro pure la formazione di gruppi ed associazioni, di cui non si e ancora parlato e che trattiamo in questa parte per il fatto che interessano il folklore locale. Le più antiche istituzioni sono Ie Confraternite, che esercitavano particolari opere di pieta e carita. Si puo dire senza paura che San Giusto e nato dal seno della Confraternita dell'Addolorata, di cui gia s'e parlato; i confratelli d'ambo i sessi vestivano di giallo, nelle riunioni, sepolture e processioni. Altra Confratemita era quella del Corpus Domini eretta nel 1756 con decreto del Card. Delle Lanze sotto il titolo dell' Altar maggiore dedicato ai S.S. Fabiano e Sebastiano. I confratelli che portavano l'abito bianco con cordone e cappuccio, si proponevano di esser devoti dell'Eucarestia, alimentando la lampada che sempre arde davanti al Tabernacolo, accompagnando il sacerdote che andava solennemente ad amministrare il Viatico, ecc. Vi era anche la Confraternita del Suffragio eretta presso l'altare della Madonna del Rosario (ora del S. Cuore). Dopo la Rivoluzione Francese, Ie Confraternite, confiscate dei loro beni, risorsero come Compagnie; ricordiamo quelle delle Figlie di Maria, delle Madri cristiane, del Carmine, ecc. Affini erano pure Ie Congregazioni, come quella di Carita che "stipendiava il flebotomo e pagava Ie medicine ai poveri" (Bertolotti, tomo II, pag. 115). Ogni gruppo sopra menzionato curava in modo speciale la buona riuscita della festa del suo Titolare attraverso l'istituto delle Priorate, tuttora in uso, benche si tenti di ridurle di numero e di sfarzo. Una volta i Priori rinnovati ogni anno erano accompagnati in corteo dalle portatrici di "carita", recanti cioe alti cappelli di fiori artificiali e nastri multicolori, e di "caritini" cioe di piccoli pani entro cestelli adorni, da distribuirsi agli amici dopo la benedizione in chiesa. II priore di S. Giusto promuove la colletta del grano a beneficio della chiesa (una volta anche quella della canapa e del riso) e la priora passa alla colletta del granoturco (una volta anche della rista e della biancheria). Attualmente i priori solennizzano Ie feste, curando anche la partecipazione della canto ria e della filarmonica.

PASSIONE DEL BALLO

La danza ha avuto in passato e conserva ancora presso la popolazione sangiustese un'importanza grandissima, in quanta e sempre stata strettamente legata alle cerimonie religiose, alle priorate, ai carnevali e alle feste di leva.
Ma quali sono stati i balli e Ie danze, che San Giusto ricorda nella sua storia?
Solo con pazienza certosina si e potuto, attraverso i racconti di molti ottuagenari, sentire dalla loro voce e risalire nel tempo prima che l'oblio s'impossessasse per sempre di quelle notizie, episodi, usanze, riguardanti il modo in cui i nostri avi si divertivano nelle feste popolari, rimaste per noi curiose e interessanti.
II più vecchio ballo che si ricordi e il "RIGODONE" detto comunemente "RIGUDUN": ballo e musica di origine francese, in yoga nel 1800. Chi di noi non ha sentito dire: "Se torni a casa tardi, ti faro ballare io il Rigudun!" Questo avvertimento era fatto dai genitori ai figli ribelli, non come minaccia, ma perchè non dovessero provare al ritorno l'effetto di ballare per forza il Rigudun a causa del ritardo.
Da questa espressione, si ha chiaramente l'idea, di Quale teoria fosse composto questo ballo. Al dire dei vecchi, era un ballo molto faticoso e soprattutto manesco.
I ballerini si scambiavano certi strattoni, che spesse volte scatenavano delle risse.
Si ballava in gruppo e anche in coppia e, naturalmente, tutto questo sulle aie delle case rurali, dove non mancava mai l'occhio vigile dei genitori.
Ma Ie giovani coppie approfittavano di queste occasioni per scambiarsi occhiate, strette di mano e promesse nascoste. La popolazione di quel tempo in simili circostanze amava vestirsi stranamente con grandi cappelli e abiti dal taglio inadeguato; Ie donne invece si esibivano con grandi scialli e abbondanti gonne, on de nascondere la propria identita e l'immancabile timidezza. Agli inizi di questo secolo vennero introdotte, sempre dalla Francia, "la Correnta, la Giga e la Siciliana". Queste danze, grazie ai gruppi folk, sono ritornate in auge, nei costumi originali di allora, e riproposte al pubblico d'oggi durante manifestazioni popolari. La Siciliana, cosi chiamata, era imparentata con la Tarantella; infatti, dopo molte variazioni, il cavaliere, con un ginocchio a terra, attendeva che la dama, tutta dritta e seria, compisse vari giri attorno a lui", sbattendo la gonna e lanciando urla di gioia. Una grande interprete di questa danza fu l'indimenticabile TONINA BIROCCO (sorella della centenaria); memorabile fu la sua esibizione avvenuta nel 1939 durante una festa di nozze, al punta da strabiliare i presenti per il suo grande temperamento.
Giunse l'evento del famoso ballo a palchetto, conosciuto da tutti, anche dai non ballerini; questo porta molte novita nei balli e nelle feste popolari. Chi fu l'inventore non si e mai saputo. Si allude a un falegname del Cuneese, però mancano i dati.
Cosi con questa pista da ballo viaggiante nacquero Ie prime orchestrine (come si chiamavano allora i complessi), formate da fisa, tromba, clarino e batteria.
I balli in voga furono per molto tempo il valzer, la polca e la mazurca; quando nel 1920 si affaccia alla ribalta il "tango", ballo che fece molto c1amore ovunque. I parroci dalle prediche vietarono alla gioventù di praticarlo; ma, nonostante tutto, la gioventù ballerina di San Giusto sfida ogni ostacolo e i giovanotti che lo sapevano meglio ballare avevano la preferenza delle ragazze. Questo si poteva constatare meglio quando veniva annunciato "dame a scegliere"; per molti era la prova della preferenza che la dama porgeva fra tutti i cavalieri in sala. A quelli cui non veniva restituito il ballo non restava che allontanarsi sfiduciati e puntare altrove Ie proprie mire.
Per orgoglio e per rivalita spesso si aggiunse la bravura e cosi nacquero Ie prime sfide per meritarsi il titolo della miglior coppia della festa. Tutto questo aveva luogo l'ultima sera, a conc1usione della festa. Dopo aver fatto sgombrare il pubblico che gremiva la pista, mediante l'indimenticabile giro di corda, vi entravano Ie coppie in gara. Dall'esterno del ballo, Ie comari si davano un gran da fare per non lasciarsi sfuggire ogni minima particolare (con attente occhiate) e a festa finita pronunciare il loro implacabile verdetto.
Intanto al palo centrale che reggeva il tendone veniva posto in mostra un enorme mazzo di fiori (chiamato "bouquet") per la dama; al cavaliere invece due bottiglie di vino pregiato.
La competizione avveniva in modo assai strano, contrariamente alle gare di ballo d'oggi, basate sulla tecnica e suI tempo; quelle di allora erano invece sull'abilita e suI coraggio. II cavaliere doveva eseguire in coppia con la dama i balli, reggendo pera in testa un bicchiere con del vino.
Pochissimi entravano in finale; cosi, senza volerlo, un po' per equilibrio e un po' per scioltezza, nacque il liscio alla maniera sangiustese, comunemente chiamato: "AL SOELE", che non permetteva un minima attimo di distrazione.
Le sale da ballo a San Giusto nacquero negli anni ruggenti, non appena i primi immigrati d' America fondarono "IL DOPO LAVORO". II primo fu Zanna Michele (al Netu dla Magnina) con una grande sala al piano terreno in Via D' Azeglio. Questa nel 1946 fu la sede del FRONTE DELLA GIOVENTU' e, infine, battezzata la sala "POVERI VECCHI" per la mezza eta dei frequentanti. Venne chiusa prima degli anni '60. Un'altra sala dello stesso periodo era quella dei "COMBATTENTI" in Via XXV Luglio, che ebbe un breve periodo di vita, per l'evento della guerra.
Altra sala che visse momenti di splendore, il "CINEMA FIORINA"; aperto prima come sala cinematografica e teatrale, venne trasformato dopo la guerra in sala da ballo.
Fu sede dell'ENAL per molti anni; più tardi con la costruzione del Ristorante Lago Maggiore l'ENAL trasferi la sua sede in questo nuovo locale, dov'e tutt'oggi la discoteca più "IN" di San Giusto.
Attraverso questa galoppata storica suI ballo, molte coppie di ballerini hanno saputo onorare e imporre la propria bravura oltre i contini del paese.
L'entusiasmo del ballo liscio ci porta, dopo gli anni '70, a seguire una affiatata coppia di ballerini: sono i coniugi Ozzello, Fortunato e Luciana, che conseguono svariati premi in gare di cartello.
Nel '77-78 essi danno pure inizio ad una scuola di ballo per giovanissimi. Fra questi, la coppia dei mini-ballerini sangiustesi Loris Boggio e Sabrina Tapparo, ambedue di 8 anni, vincono il campionato di ballo liscio, tenutosi a Torino presso il Palazzo Vela, nella categoria "Juveniles" dai 6 ai 10anni
L'istruttore Fortunato quella sera fu veramente "fortunato" nel vedere assegnato il campionato
italiano ai suoi due pupilli.

I PROTAGONISTI DEL CARNEVALE SANGIUSTESE TIRAPERE E GERBOLINA (dalle origini)

1965 LUCIANO GATTERO - ISABELLA GASTALDI
1966 FRANCO CONTO - MARESA BOGGIO
1967 CLAUDIO ENRICO - MAGDA MARCO
1968 MAURO SANSOE - IVANA GENTA
1969 ROMEO ZANCHETTA - ROSANNA DE LAURENTI (coniugi)
1970 WALTER TAPPARO - INES MARCHETTO (coniugi)
1971 WALTER BINANDO - WANDA GENTA (coniugi)
1972 FLA VIO OTTINO - DANILA BOGGIO
1973 RICCARDO OLIVERO - SOLANGE BOGGIO
1974 MAURO TAPPARO - TIZIANA GUIDETTI
1975 MAURO TAPPARO - TIZIANA GUIDETTI
1976 MAURO TAPPARO - TIZIANA GUIDETTI
1977 MAURIZIO BERTETTO - NEVA GENTA
1978 FULVIO BOGGIO - MAURA BINANDO
1979 MASSIMO SUCCA - IVANA FLORINA
1980 DOMENICO OZZELLO - STEFANIA ARGANO
1981 DARIO GIOGA - MIRIAM FIORINA
1982 ERALDO BINANDO - GIUSEPPINA CERUTTI (coniugi)
1983 MARCO BINANDO - PAOLA AZZARITI
1984 FIORELLO DE MARCHI - SUSY CAPPO (coniugi)
1985 FIORELLO DE MARCHI - SUSY CAPPO (coniugi)

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Accesso libero.

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Pagina aggiornata il 28/10/2024